Guadagnino non è un narratore. Guadagnino ti fa sentire cose.
Il brivido dell’amore, le turbolenze del sesso, gli impulsi della carne. E nella sua personale visione del romanzo di Burroughs, per un’ora buona, riesce a farlo al meglio. Le avventure della “checca” William Lee (un extraordinario Daniel Craig) sono febbrili, spudorate, ipnotiche. Una spirale senza tregua, quasi una maledizione, una ricerca infinita del piacere — del corpo, ma anche dell’anima.
Finché restiamo a Città del Messico, Guadagnino è in stato di grazia. Ogni notte al bar, i motel sudici, le bottiglie di tequila, i falli, i culi, le Camel, le finestre che sembrano sussurrare. È qui che il suo cinema vive: nella descrizione minuta, ripetitiva, sensuale. È il regno della pelle, non della trama.
Poi però si parte per il Sud America, e l’unità di tempo e spazio si perde. La narrazione si sfilaccia, l’ipnosi visiva si spezza. Guadagnino, quando cerca di raccontare “normalmente”, mostra i suoi limiti. Non è un autore nel senso classico del termine. E Justin Kuritzkes, classe ’90, già sceneggiatore di “Challengers” (con esiti discutibili), qui almeno si contiene, ma certo non brilla.
I veri problemi sono di scrittura: i temi restano frammentati, i personaggi sfuggono, e le ossessioni non vengono mai davvero scavate. L’uomo maturo corteggia il giovane con insistenza, e questi risponde con freddo distacco. Ma perché? Perché tanta distanza, tanta alterigia? Il film non lo dice. O non gli interessa dirlo.
Anche le visioni psichedeliche non funzionano fino in fondo, e il secondo tempo pesa. I 137 minuti si sentono tutti, perché si rincorrono dettagli poco rilevanti senza mai cercare un respiro più ampio. E così non ci appassioniamo: il viaggio resta inconcludente, come sospeso.
La scena più potente? La sodomia.
Lì Guadagnino è puro cinema: i corpi che si uniscono mostrando al tempo stesso desiderio, sentimento e perversione. È un momento altissimo, che giustifica l’intero film. Peccato che buona parte del resto sembri girare a vuoto. Perché il regista, si capisce, guarda altrove. Quello che gli interessa non sono i personaggi, né le loro storie. Ma solo la suggestione che possono evocare.
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