Luca Pisapia è nato a Milano nel 1977. Giornalista per Il Manifesto, La Gazzetta dello Sport e Il Fatto Quotidiano, da sempre appassionato di sport come di cinema, comincia a scrivere su diversi blog (va menzionata su tutte l'esperienza del blog Lacrime di Borghetti) e nei quali sviluppa un suo stile e un suo modo particolare di raccontare il gioco del calcio così come il mondo che ci circonda.

Trasferitosi a Roma, ha scritto un libro (uno "Spaghetti Western") su Gigi Riva intitolato "Ultimo hombre vertical" e pubblicato su Limina nel 2012. Un istant-book con il quale va oltre il ritratto solito dell'uomo e calciatore Gigi Riva che viene considerato in un contesto più ampio e come il simbolo storico e politico di una fase storica rilevante come gli anni sessanta e settanta.

Il suo secondo libro si intitola "Uccidi Paul Breitner: Frammenti di un discorso sul pallone" ed è stato pubblicato lo scorso 21 su Edizioni Alegre all'interno della collana Quinto Tipo, diretta da Wu Ming 1.

Un ibrido tra saggio e romanzo, cui è difficile (forse impossibile) trovare momenti simili nella letteratura del nostro paese, in cui il calcio viene raccontato su una struttura narrativa che segue un filone costruito su tre edizioni dei Mondiali di Calcio ma ricca di storie che si intrecciano tra di loro nella composizione di un noir dove vero e inverosimile si scambino continuamente di ruolo.

L'intervista è stata chiaramente anche l'occasione per parlare di un confronto tra il web e il mondo dell'editoria e in un momento in cui il tema delle opinioni espresse a ogni livello in maniera massiva è sicuramente centrale nel dibattito del nostro paese; così come dell'ultima edizione dei Mondiali di Calcio, che in Italia sono stati un po' il pretesto per parlare di tante cose tranne che dell'unico fatto veramente rilevante: la mancata qualificazione degli "azzurri".

Ringrazio ancora Luca per la sua disponibilità e gli faccio un grosso in bocca al lupo per il libro e i suoi prossimi progetti, mentre alla comunità debaseriana e a tutti i lettori non mi resta invece che augurare una buona lettura.

1. Ciao Luca, è un piacere ospitarti sulle pagine di Debaser, ti ringrazio molto per avere accettato di fare questa intervista. Giornalista e scrittore, collabori con Il Manifesto, La Gazzetta dello Sport e Il Fatto Quotidiano, ma penso di non sbagliare se dico che il web è stata la tua prima "dimensione" e uno spazio che ancora oggi riconosci come tuo proprio. Volevo intanto cominciare chiedendoti proprio come e quando hai cominciato a scrivere e tra le altre cose, perché principalmente di calcio? Ammesso che sia così. Lo dico perché nel tuo modo di parlare di calcio c'è una ricchezza di contenuti che trascende il "gioco" e lo spazio ideale e concreto circoscritto solo rettangolo di gioco e tutto quello che ci gira intorno cone business, procuratori, tecnici e addetti ai lavori, tifosi. Non parlo peraltro solo di contenuti ma anche del tuo modo di approcciare la materia e che può prescindere anche da canoni strettamente giornalistici e sportivi diciamo più diffusi. È il calcio e in particolare nel nostro paese in qualche modo secondo te "popolare" proprio nel senso di espressione di una cultura tout-court invece che intesa solo come manifestazione "volgare"?

LP. Ciao a tutti e grazie per avermi ospitato su Debaser. Ho cominciato per caso a occuparmi di giornalismo mentre vivevo a Londra e studiavo cinema, poi per una serie di eventi sono finito a scrivere per la Gazzetta dello Sport come corrispondente, e quindi a occuparmi professionalmente di calcio, passione che fino allora avevo coltivato come semplice tifoso del Milan. Forse è stato proprio il fatto di provenire da una formazione differente, né migliore né peggiore rispetto al giornalismo, e di non essermi quindi formato internamente, che mi ha permesso e mi permette ancora oggi di dedicarmi al pallone con uno sguardo diverso, di provare a indagarlo come prodotto dell’industria culturale tout court. Quello che cerco di fare, è semplicemente raccontare la dimensione estetica, sociale e politica di uno spettacolo che ha occupato il posto proprio del cinema come fabbrica del desiderio, il miglior apparato ideologico al servizio del capitale. Per tutto questo è stato fondamentale l’incontro con Lacrime di Borghetti, il primo blog di letteratura e cultura calcistica apparso in Italia. Ma di questo vi racconto più avanti. Per il resto sto sul web come tutti, ma fatico a distinguere il tasto alt da ctrl…

2. Veniamo al tuo ultimo libro, che si intitola "Uccidi Paul Breitner: Frammenti di un discorso sul pallone" ed è stato adesso pubblicato lo scorso 21 giugno su Edizioni Alegre all'interno della collana Quinto Tipo. Ci spieghi di che cosa si tratta esattamente? In primo luogo perché hai scelto proprio il grande Paul Breitner e questo titolo? Immagino si tratti una scelta che in qualche maniera rappresenti in maniera forte i contenuti. Ma il libro di che cosa parla? È una fiction letteraria con contenuti storici? Del resto mi sembra di capire che ogni riferimento sia sempre centrato e contestualizzato sia sul piano storico che geopolitico e ideologico. Possiamo considerare l'opera in qualche maniera anche una reinterpretrazione del lavoro di uno scrittore e giornalista come Osvaldo Soriano?

LP. Come tutti i libri della collana Quinto Tipo, diretta da Wu Ming 1, anche il mio è un ibrido tra saggio e romanzo, anche se parlando di pallone mi sono trovato costretto a spingere i limiti dell’indecifrabile ancora più in là. Sono convinto, infatti, che un discorso organico sul pallone oggi non sia più possibile, sempre che lo sia mai stato. E che quindi si debba solo abbozzare una serie di “frammenti sul discorso” che ne restituiscano la complessità e ne limitino una presunta sistematizzazione. Se avrete la pazienza e la gentilezza di leggere il libro, troverete una struttura narrativa portante (calcio e politica al Mondiale del 1978, calcio e economia al Mondiale del 2014, calcio e media al Mondiale del 1994) sempre in procinto di esplodere, di frantumarsi in mille pezzi, che sono poi le mille storie conosciute e inedite del pallone. Se la struttura letteraria è quella del noir, l’ambizione è rendere verosimile il vero e viceversa. Il tutto cercando di tenere un secolo di calcio in un quadro sincronico, dentro e fuori dal tempo che scorre.

3. Il tuo libro precedente era dedicato a Gigi Riva. Probabilmente il più grande centravanti della storia del calcio italiano. Un altro personaggio sicuramente speciale e diciamo al di fuori da ogni schema e definizione e amato a prescindere da ogni bandiera e appartenenza di tifo. Come e diversamente da Paul Breitner. Credo tu abbia pubblicato "Gigi Riva: Ultimo hombre vertical" (Limina) nel 2012. Come è nata l'idea di scrivere il libro e da che prospettiva racconti del mitico rombo di tuono? C'è qualche cosa in comune tra Gigi Riva e Paul Breitner secondo te? Voglio dire se c'è qualche filo conduttore che pure a livello inconscio ti abbia portato da quella prima tua opera letteraria a questo seguito. Forse è una domanda quantomeno prematura, ma se dovessi ipoteticamente immaginare una "trilogia" ideale chi pensi sarebbe il terzo campione al centro di un prossimo progetto?

LP. In realtà tutto è accaduto casualmente, il primo è stato un libro richiesto espressamente dalla casa editrice di allora, e mi ha permesso di superare il semplice ritratto dell’uomo e del calciatore e di inserirlo come simbolo in un contesto storico e politico decisivo come quello degli anni Sessanta e Settanta, in Italia e nel mondo. Gigi Riva diventa il protagonista di uno Spaghetti Western, incaricato di raccontare trasformazioni economiche e sociali dal lato sbagliato della storia, quello di un eroe suo malgrado, simbolo dei deboli e degli oppressi. Con Paul Breitner, calciatore che si è sempre auto-raccontato come comunista, salvo poi diventare il primo ad avere uno sponsor personale e scegliere di giocare per il Real Madrid di Franco, faccio il percorso inverso. Diventa simbolo negativo, e raccordo narrativo attraverso il suo antagonista – la Rote Armee Fraktion che lo vuole uccidere – dei nessi politici che dal bunker di Hitler arrivano alla tribuna autorità della finale Mondiale del 1978 tra Argentina e Olanda, fino al sanguinario processo postcoloniale messo in atto dalla Fifa in Brasile nel 2014. Un terzo personaggio non l’ho ancora in mente, forse sarà il caso di raccontare la storia di un calciatore del futuro, di cui ancora ignoriamo l’esistenza.

4. Penso di non sbagliare se dico che riconosci ancora oggi il web come uno spazio tuo. Ma che differenze ci sono tra scrivere un libro oppure per una testata giornalistica oppure per un blog? Ammesso che per te le cose abbiano connotati diversi. Più difficile il mondo dell'editoria, del giornalismo o il web? Posso dire di scrivere molto e gestire un blog calcistico, che poi è più una specie di piccola community, ma posso dire di trovare veramente difficile il dialogo e il confronto tanto sul web quanto nella vita reale e pure su una questione che poi diciamo dovrebbe essere poco importante rispetto a tante altre cose come il calcio? Quanto è difficile scrivere, che penso sia un lavoro in cui si espone se stessi e ricercando un contatto con gli altri, in un contesto culturale come questo? Parliamo di una vera e propria urgenza espressiva, magari trovi questa specie di "sfida" anche in qualche modo stimolante?

LP. Ecco, ora posso rendere il giusto merito a Lacrime di Borghetti, uno spazio web nato alla fine degli anni Zero da un gruppo di amici romani che ha cambiato radicalmente il modo di raccontare il pallone. Sempre rifiutando ogni tipo di sponsorizzazione o di addomesticamento, siamo riusciti a raccontare l’amore per il calcio e la letteratura, le esperienze personali e quelle collettive, utilizzando indifferentemente chiavi alte e basse. Poi, con l’esplosione dei social network, dell’opinionismo diffuso, del voler per forza dire la propria e scriverlo in rete, che cresceva di pari passo con quello che Tullio De Mauro ha definito analfabetismo funzionale, il web è esploso: sono proliferati decine di blog calcistici senza senso, spesso scritti molto male. Alcuni si sono lanciati nella materia più facile e indigeribile, la nostalgia, che porta sempre più “like” da parte di un pubblico che vi riconosce la propria età dell’oro dell’infanzia. Altri si sono venduti agli sponsor e al denaro, dedicandosi ai ritratti agiografici dei calciatori di una certa marca di abbigliamento sportivo. Il piacere di scrivere per fare comunità si è perso insieme alla sempre più crescente incapacità di sapere ascoltare. Oggi nessuno vuole più leggere, tutti vogliono scrivere. E in questa dimensione, Lacrime di Borghetti non ha più senso.

5. Penso sia giusto concludere chiedendoti in primis dei tuoi progetti attuali e per il prossimo futuro. Anche per dare qualche indicazione in più sul tuo lavoro ai lettori. Così come è impossibile non chiederti a questo punto qualche cosa sugli ultimi Campionati Mondiali di Calcio. Io ti lancio qualche tema tra quelli che mi sono sembrati quelli più ricorrenti e interessanti: il fallimento vero oppure presunto del calcio italiano e rapportato magari anche alle "debacle" più o meno clamorose di Argentina, Brasile, Germania, Spagna; la mancata e prolungata affermazione del calcio africano e se ritieni che sia impossibile avere una forte Nazionale di calcio in un paese che non riesce a sviluppare un proprio movimento calcistico e di conseguenza ci sia anche una certa retorica presunta terzomondista che non vuole aprire gli occhi davanti a questa realtà e si limiti a "simpatizzare"; sovranismo nazionale e integrazione culturale nel calcio contemporaneo e in Europa in particolare.

LP. Per adesso mi leggete sul Manifesto, che ha la gentilezza di ospitarmi. Domani non so. A proposito dei Mondiali di Russia 2018, invece, credo si sia voluto enfatizzare troppo il racconto della caduta degli dei. Volendo, l’unica sorpresa è la Croazia in finale, che ci permette di smentire le letture su sovranismo vs. multiculturalismo. Al di là della peculiare identità politica del paese, i giocatori croati erano quasi tutti profughi, figli della guerra e della diaspora, quindi non cresciuti calcisticamente “in una nazione”. Anzi. Questo ci permette anche di sfatare il mito del multiculturalismo francese, già sgretolato all’indomani della finta favola dei Black, Blanc e Beur Campioni del Mondo del 1998 e pronto a incendiarsi alla prossima rivolta nelle banlieues. La Francia, la Croazia, la mancata qualificazione agli ottavi di tutto il contingente africano, sono perfetti esempi di postcolonialismo: il vero tema degli ultimi Mondiali, e la ragione del fallimento della Nazionale italiana e del paese Italia. Ma nulla è mai nuovo, tutto c’è sempre stato, e il tempo non scorre in una sola direzione. Se avete voglia di leggere Uccidi Paul Breitner, lì ci sono già molte risposte a questi quesiti…

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