A TU PER TU – LUCIA FILACI
WOW RECORDS 2022
Passare disinvoltamente dal canto classico al canto jazz è prerogativa di poche voci, per via di una certa indulgenza verso una forma di impostazione da cui non sempre il tentativo di emanciparsi riesce in maniera felice. Non sembra essere questo, però, un grande problema per Lucia Filaci, cantante romana di origine napoletana, nel suo recente “A tu per tu”, album d’esordio nel quale serenamente convivono brani originali di sua composizione e interessanti riletture di standards.
La prima parte dell’album privilegia la swingante creatività della cantante, che padroneggia egregiamente i migliori stilemi di scat e vocalese, che saltuariamente fanno capolino tra le pieghe di armonie ben concepite, impreziosite dalle sapienti ed esperte mani di Andrea Beneventano al piano, Dario Rosciglione al contrabbasso e Gegè Munari alla batteria. Il contralto di un ottimo Vittorio Cuculo impreziosisce In My Swing Mood, un beat serrato a mettere in chiaro, fin dal primo istante, in che contesto spazio-temporale siamo calati. “Senti qui che posso far…” canta la Filaci, e non pare affatto tipo da millanterie. Di certo non è l’ironia a far difetto alla cantante romana, come testimonia Sembra un Samba, brano in cui lo scat abbraccia osmoticamente il sillabato verde-amarelo. Il pianoforte di Beneventano accompagna la cantante nel suo planning quotidiano, fatto di colazioni gustate con lentezza, ombrelli, acquazzoni e scarpe di cammello martirizzate. Una sorta di Bridget Jones maldestra e rassegnata, che si abbandona a quel jeito brasileiro de ser, quando lo stato d’animo si rasserena con la rapidità di una tempesta tropicale. Siamo il Jazz è un malcelato omaggio a quelle atmosfere eleganti che caratterizzavano una certa musica italiana a cavallo del conflitto mondiale. Echi di Quartetto Cetra e Buscaglione catapultano l’ascoltatore in un mondo di gonne a pois e foulard al collo. Qui è Dario Rosciglione a rubare la scena con un brillante intervento al contrabbasso che lancia l’interessantissimo solo di Cuculo. La Filaci dosa registri alti e bassi con grande equilibrio, offrendo una pregevole esecuzione. Indecisione Blues fornisce la riprova del dominio delle note e del tempo da parte della Filaci, su un testo ancora una volta ironico, attitudine compositiva che caratterizza non poco la cifra stilistica della cantante. Il contrabbasso di Rosciglione annuncia Bye Bye Blackbird (prima tra le cover presenti nell’album), ma nemmeno il classico di Ray Henderson e Mort Dixon crea patemi alla Filaci, la quale si disimpegna ottimamente, senza voler entrare in competizione con le regine del passato che hanno nobilitato lo splendido standard. L’interplay con il trio è palmare, trascinato dal drumming sempre sapiente di Gegè Munari e da un Beneventano che, qua e là, dissemina passaggi fortemente evocativi di un’era mai troppo rimpianta, musicalmente parlando. Momento latineggiante, quello di Estate Sei Mia, traccia arrangiata da Fabrizio Aiello, le cui percussioni scandiscono l’incedere di un ritmo caribeño. Monica Tenev si traveste da Johnny Pacheco, mentre la voce e il violino di Juan Carlos Albelo ci conducono in altre e distanti latitudini, laddove il tempo è inafferrabile. Perchè a Varadero o Boca Chica l’estate dura molti mesi. La seconda incursione nello scivoloso mondo delle cover riguarda Serenade to Sweden di Duke Ellington, brano che – a parere della Filaci – fornisce riscontro al quesito circa la compatibilità del jazz con il canto classico, alveo da cui l’artista proviene. Sfida coraggiosa - non c’è che dire – affrontare uno scoglio insormontabile con il quale le cantanti jazz non hanno amato particolarmente confrontarsi, eccezion fatta per quella Alice Babs che, grazie alla prodigiosa estensione vocale – al di là (probabilmente) delle implicazioni geografiche – aveva onorato la scommessa del Duca. Nessuno meglio di Emanuele Urso poteva colorare di accenti ‘40s Friariello Swing, con la Filaci a rivelare generosamente all’ascoltatore la ricetta del gustosissimo alimento, modulando la voce tra i fraseggi tecnicamente inappuntabili dell’ospite al clarinetto e i deliziosi arrangiamenti vocali di Antonello Paliotti. Fletcher Henderson meets Orchestra Italiana. O, piuttosto, Gorni Kramer incontra Trio Lescano. Il momento più intimista e romantico dell’album è riservato a Che Mi Importa Del Mondo, celeberrimo capolavoro di Luis Bacalov e Franco Migliacci, che Filaci interpreta con vena e vocalità retro, ciò che contribuisce alla riuscita del brano, reso efficace anche dagli arrangiamenti eseguiti dal trio e dal pregevole intervento di un sempre ottimo Stefano Di Battista al sax contralto. Le atmosfere dilatate cedono il passo ad una pirotecnica Donna Lee, ultima cover e ultima traccia dell’album. Filaci affronta lo standard parkeriano lanciandosi senza paracadute in un vorticoso vocalese da cui esce trionfatrice. Sezione ritmica con beat serratissimi, a sostenere ora il sax di Cuculo, ora il pianismo nervoso di Beneventano, fino al momento dei saluti finali, riservati, come si conviene, alla padrona di casa.
Album che necessita più di un ascolto, per comprenderne, come merita, la reale portata sotto il profilo compositivo, oltre che tecnico, più facilmente intelligibile ad una prima analisi. Se per Lucia Filaci l’azzardo era “guardarsi dentro e - accettandosi per ciò che si è come artisti e come individui - darsi la possibilità di essere quello che si desidera”, ebbene il bersaglio può dirsi centrato. E laddove questa sfida consistesse nell’alea di “trasformare il mio percorso e la mia vocalità da cantante lirica a cantante jazz” attraverso un “unico linguaggio, chiaro ed efficace, affinché si potessero creare delle immagini per le storie che ho voluto raccontare”, appare evidente come il risultato sia stato raggiunto.
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