Convinto che per un compositore il miglior commento a un pezzo di musica fosse dell'altra musica, Luciano Berio mette in pratica questo principio con il ciclo di Chemins: se nelle Sequenze egli aveva affrontato una scrittura minuziosa e virtuosistica affidata di volta in volta a uno strumento solista, negli Chemins riprende ed espande quei brani affiancando agli strumenti solisti una piccola orchestra o un ensemble.
Questo bel cd, pubblicato dall'etichetta tedesca col legno e registrato dal vivo al festival Wien Modern nel 2007, presenta due brani di questo ciclo: "Chemins I" per arpa e orchestra (1965), basato su "Sequenza II" per arpa, e "Chemins IIb" per orchestra (1969), a sua volta una riscrittura del secondo brano del ciclo.
Diceva Berio: “Gli Chemins sono le migliori analisi delle mie Sequenze. In essi cito, traduco, espando e trascrivo le Sequenze”; di qui il titolo del ciclo, che si riferisce a nuovi percorsi, a nuove strade che proliferano dai brani di partenza. Ma lo stesso principio è anche alla base del terzo brano presente in questo cd, il "Concerto per due pianoforti e orchestra" (1973) in cui, ancora una volta, "i due strumenti solisti coesistono con la loro immagine riflessa e trascritta nell'orchestra".
Mi piacciono, questi brani di Berio, per il loro suono pieno, corposo. Berio non ama le pause di riflessione, i suoi pezzi orchestrali sono esemplari per il loro ricchissimo colore, per la densità sonora, per la capacità di creare momenti di progressiva tensione a cui rispondono improvvise e serene distensioni. Osservazioni che valgono all'ennesima potenza per l'ultimo brano del cd: "Formazioni" del 1987.
Avete presente la disposizione tradizionale di un'orchestra? Violini a sinistra, viole al centro, violoncelli e contrabbassi a destra, fiati e ottoni dietro, e le percussioni ai lati? Bene, ma in questo caso Berio cambia le carte in tavola: in primo piano ci sono gli ottoni, divisi in due gruppi e seduti ai lati su pedane rialzate; divisi anche i fiati in tre gruppi, e uno di questi sta a sinistra del direttore, al posto dei violini! Le povere arpe, sempre sacrificate dietro, questa volta se ne stanno in pole position, a farsi belle davanti a tutti. E così via.
Insomma: una disposizione strategica dell'orchestra, e lo stesso Berio sottolineava l'allusione militaresca del titolo. Ho amato questo brano fin da quando l'ho sentito per caso alla radio (Radio3 Rai) senza sapere ancora di chi fosse. Un'esplosione di colori, di fantasia, di esuberanza strumentale.
Ma è inutile dilungarsi. Corro a rimettere nel lettore questi "Orchestral Works" di Luciano Berio: una festa.
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