Il triplo cd Deutsche Grammophon qui recensito raccoglie le "Sequenze" di Luciano Berio: 14 pezzi per strumento solista scritti in un periodo che va dal 1958 al 1995 e che costituiscono uno dei risultati più notevoli del compositore.

La storia ha inizio nel 1958, quando Berio scrive un breve pezzo per flauto solo che intitola "Sequenza". Le possibilità che egli intravede nello studio analitico di un singolo strumento lo porteranno a concepire un ciclo di pezzi nel quale esplorare tutti i dettagli immaginabili, soprattutto quelli inauditi, degli strumenti presi in considerazione.

Nascono così, negli anni '60, altre sei Sequenze: per arpa (II), per voce femminile (III), per pianoforte (IV), per trombone (V), per viola (VI), per oboe (VII). Brani caratterizzati da un'estrema densità dell'aspetto melodico, in cui gli strumenti sono passati al microscopio per ricavarne passaggi di un funambolico virtuosismo, ma non fine a se stesso: attraverso le Sequenze, Berio cerca la trasformazione della nostra idea di un certo strumento musicale, e delle tecniche esecutive alle quali siamo abituati da secoli. Il suo è un tentativo estremamente impegnativo e coraggioso.

Se la "Sequenza VIII" per violino è l'unica scritta negli anni '70, il ciclo riprende negli anni '80 con tre nuovi pezzi: per clarinetto (IXa; trascritta anche per sassofono contralto come "Sequenza IXb"), per tromba (X), per chitarra (XI). Infine, la "Sequenza XII" per fagotto e la XIII per fisarmonica, entrambe del 1995. (Altre edizioni discografiche includono la "Sequenza XIVa" per violoncello del 2002, di cui esiste anche una versione alternativa per contrabbasso.)

Difficile addentrarsi nell'esame dei singoli pezzi: ogni Sequenza meriterebbe una recensione a sé e ancora non basterebbe. Molti di questi brani sono diventati leggenda nella musica del secondo '900. Ad esempio la "Sequenza II" per arpa, uno strumento che sembrava destinato, diceva Berio, a "ragazze seminude con lunghi capelli biondi" e che nel suo pezzo deve invece suonare "come una foresta col vento che ci soffia attraverso".

O la "Sequenza III" per voce femminile, a suo tempo scritta per la voce camaleontica di Cathy Berberian: un impressionante catalogo di comportamenti vocali che vanno dal colpo di tosse alla risata, dal declamato al cantato, dall'accelerazione al rallentando, il tutto condito da una quarantina di indicazioni espressive fissate in partitura (teso, sereno, convulso, civettuolo, disperato, gioioso, ecc.) e basato su un breve testo scritto dal poeta Mark Kutter che impiega pochi termini universali (casa, notte, donna, parola, ecc.) per venire continuamente scomposto e ricombinato nei suoi aspetti sintattici e fonetici.

E così via: la "Sequenza V" per trombone, ispirata a un famoso clown, Grock, in cui l'interprete è chiamato a produrre suoni strumentali e vocali allo stesso tempo, trasformando lo strumento in voce e la voce in strumento. O la "Sequenza X" per tromba, in cui l'esecutore infila lo strumento dentro la cassa armonica di un pianoforte lì accanto, allo scopo di far vibrare per simpatia le corde del pianoforte ottenendo così un denso riverbero che costituisce l'ombra acustica della tromba. O ancora la "Sequenza XII" per fagotto, 18 minuti di suono quasi ininterrotto grazie alla tecnica della respirazione circolare prescritta allo strumentista.

È un Berio no limits, quello che troviamo in queste Sequenze... Peccato per l'orrendo titolo ("Sequenzas") usato dalle case discografiche che anglicizzano il termine italiano: così la Deutsche Grammophon, la prima a registrare questi brani mettendo sul mercato i tre cd a prezzo pieno; così la Naxos, che propone una diversa registrazione delle Sequenze a prezzo ridotto; così la Mode, che in 4 cd (e booklet di 104 pagine!) presenta versioni alternative e aggiuntive delle Sequenze. Sono circa tre ore di musica: ascoltati un po' alla volta, lasciati sedimentare nella nostra coscienza da ampi intervalli di tempo, questi pezzi si rivelano in tutta la loro complessità e il loro fascino.

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