Chi mai si aspetterebbe un'opera come la "Storia Vera" da un uomo vissuto nel II secolo dopo Cristo? Se poi si pensa che quest'uomo era un Siriano di lingua greca e dal nome latino, proveniente da un'area se non marginale, quantomeno disastrata dell'impero romano (Samosata era infatti una cittadina molto vicina all'Eufrate, posta su una delle frontiere più ‘calde' dell'impero, continuamente aggredita dagli eserciti dei Parti), è senz'altro possibile farci un'idea più esatta della caratura di questo personaggio, uno degli ultimi intellettuali originali e di spicco di una cultura in lenta decadenza, che viveva un periodo di ricapitolazione nostalgica di quanto di meglio aveva prodotto nei secoli passati, un uomo che univa un'enorme erudizione filosofica e letteraria guadagnata negli anni della giovinezza trascorsa nella Ionia, dove aveva imparato a parlare e scrivere il greco in modo ricercato e forbito, a una mente fantasiosa e vivace, tipica della civiltà e del sangue siro-orientale che gli scorreva nelle vene.
Autore di molte opere di carattere filosofeggiante, satirico e persino storiografico, Luciano negli ultimi anni della sua vita, durante il regno dell'imperatore Marco Aurelio (161 - 180 d. C.), scrisse questa bizzarra "Storia Vera", che per comodità, ma senza paura di esagerare o di affermare assurdità, potremmo definire addirittura come il primo esempio di romanzo fantasy della storia: l'autore stesso dichiara di scrivere un'opera disimpegnata, che mira a rilassare la mente dell'intellettuale persa tra il ritmo della poesia in trimetri ed esametri e i complicati (e talvolta astrusi) ragionamenti dei filosofi dell'epoca. Ma i riferimenti colti non mancano, in ogni caso: è un'opera di svago, ma pur sempre destinata ad un pubblico erudito, o che quantomeno ha una conoscenza non certo superficiale della letteratura greca.
La "Storia Vera" è il racconto di un viaggio intrapreso dall'autore stesso, di un periplo oltre le Colonne d'Ercole sino agli estremi confini del mondo per pura curiosità, che altro non è che una feroce parodia dell'"Odissea": durante questo viaggio, tutto in chiave anti-eroica e anti-epica, il lettore incontrerà popoli e mostruosità dai caratteri esageratamente accentuati sino alla comicità più brutale e satirica nel senso più pieno della parola (che dire degli Uomini-nave che usano il proprio sproporzionato fallo come albero maestro cui fissare il velame?): fortemente corrosiva la descrizione degli eserciti solari e lunari, che parodia quella dell'esercito persiano fatta da Erodoto di Alicarnasso nelle sue "Storie", o il catalogo degli stessi schieramenti sul modello dell'Iliade, o l'incontro con i principali personaggi della storia e della mitologia che egli incontra nelle Isole dei Beati, ridicolizzati e spogliati di ogni dignità che la tradizione attribuiva loro (lo stesso Omero, il poeta nazionale greco, è ritratto come un prigioniero oriundo di Babilonia di nome Tigrane, beffandosi così persino di talune teorie filologiche molto in voga all'epoca sulle origini del cantore), o ancora l'episodio in cui la sua nave viene inghiottita da una balena gigantesca, visto oggi come un attacco al vetriolo al racconto biblico di Giona nel ventre della balena (recenti studi hanno stabilito che il testo biblico era nell'antichità molto più conosciuto di quanto si fosse mai sospettato, tanto che se ne sono rintracciati evidenti echi persino ne "La Guerra Del Peloponneso" di Tucidide di Atene, vissuto oltre cinque secoli prima di Luciano).
Il periplo si dipana in un crescendo comico esagerato degno dell'Aristofane più dissacrante, all'insegna della più sfrenata fantasia, proponendo cose palesemente impossibili (la navigazione sul ghiaccio o su un mare di latte, o il trasporto sulla Luna ad opera di un vento violentissimo) e spacciandole sfacciatamente per vere (da qui il titolo dell'opera), per verità sacrosante, riprendendo così il paradosso di Epimenide di Creta, il quale affermava come tutti i Cretesi fossero bugiardi e originando un insolvibile circolo vizioso di deduzioni a catena. La satira di Luciano colpisce tutto e tutti, senza esclusione di colpi e senza tema di scadere nell'offensivo e nel triviale, nonostante la narrazione di improbabili accoppiamenti con vegetali ed altre similari amenità: ed è così che inaspettatamente, proprio beffando e parodiando l'allora quasi millenaria cultura greca, riesce a farla rivivere in una delle sue ultime creazioni originali, come giocando con sinecura quest'ultima carta per rianimare un organismo ormai morente, pervaso sempre più da una sensibilità antiquaria che faceva stagnare la letteratura e l'arte figurativa dell'epoca.
Si potrebbero scrivere libri e saggi a volontà sui significati di certe geniali trovate dell'autore o sui dotti riferimenti che vengono inseriti da Luciano ad ogni piè sospinto, o ancora sui collegamenti tra la sua comicità e la commedia dell'"aureo" V secolo avanti Cristo e sulle implicazioni filosofiche di talune sue affermazioni (pare in ogni caso che avesse una certa dimestichezza, se non altro di tipo artistico e letterario, con le idee dei filosofi della scuola cinica, come si evince anche dai suoi "Dialoghi Dei Morti"), ma non è questa ovviamente la sede adatta: questa vuole solamente essere una segnalazione per chi fosse interessato a leggere la più divertente e disimpegnata, dissacratoria e bizzarra opera partorita dalla letteratura greca.
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