Questa che mi appresto a scrivere, oltre ad essere il mio "gran debutto" su questo amabile sito che prepotentemente ha carpito la mia attenzione apparendo tra i risultati di qualche mia ricerca in ambito musicale, non vuole essere la recensione di un album in particolare, sebbene sarà appunto quello delle uscite discografiche il percorso che seguirò nel commentare l'intero percorso artistico di un cantante italiano che tanta parte ha avuto nella mia formazione musicale, avendo dato vita ad una serie di canzoni entrate a buon diritto a far parte della colonna sonora della mia vita. Sto parlando di Luciano Ligabue. Me lo ricordo che avevo dieci anni e solo adesso mi rendo conto di essermi trovato, grazie a mio fratello grande, ad ascoltare un rockettaro della provincia emiliana che aveva finalmente deciso con forza che quella, mi riferisco al rock, s'intende, sarebbe stata la sua strada. E non importava se il suo rock non sarebbe mai stato quello di Brian Jones, Janis Joplin, Jim Morrison o Jimi Hendrix, e anzi non avrebbe neanche dovuto esserlo. Ligabue doveva soltanto "fare rock in qualche modo", e lo ha fatto "come doveva, come poteva", come sapeva.
Gratificato e incoraggiato dalla benedizione rievuta l'anno precedente da Pierangelo Bertoli che nei suoi ultimi due Lp "Tra me e me" e "Sedia Elettrica" inserì 2 dei pezzi che Ligabue gli aveva proposto, rispettivamente "Sogni di rock'n'roll" e "Figlio d'un cane", nel 1990 pubblica il suo primo album "Ligabue", edito dalla casa discografica Wea, composto da 11 tracce registrate con la band dei Clandestino. Si tratta di un album semplice e senza tanti fronzoli, caratterizzato da una qualità d'incisione a dir poco mediocre (chi possiede anche l'ultimo cd di Ligabue provi ad ascoltare prima una traccia di " Nome e Cognome " e poi una del primo album e si renderà conto di dover alzare il volume del proprio stereo di almeno cinque o sei unità per cercare, invano, di ottenere la stessa resa sonora), ma soprattutto da canzoni di altissimo livello: i testi sono veri e diretti, rozzi come si addice ad un vero rocker che un bel giorno decide di far sentire a gran voce, una voce roca e graffiante, la sua opinione sulla vita di tutti i giorni, sui sogni e le speranze di un giovane lavoratore di provincia, che si rivolge in primis a quelli come lui, che nel vederlo esibirsi avrebbero rivissuto le stesse emozioni provate quindici anni prima con gli Stones, David Bowie e i Creedence Clearwater Revaival e che ora venivano suscitate niente di meno che da uno loro, il più bravo e il più capace certamente, ma pur sempre uno di loro; le melodie non sono mai banali, talvolta facilmente orecchiabili, talvolta ricercate quanto basta per suscitare riflessione e commozione, con l'adeguato sostegno di liriche che sotto la scorza del duro rocker rivelano una sensibilità comune a pochi indivudi al mondo; gli arrangiamenti infine, nella loro semplicità ed essenzialità, hanno contribuito a rendere immortali le canzoni di Ligabue e più in generale hanno caratterizzeranno, da questo momento in poi, tutto il suo sound.
A tal proposito occorre riconoscere il giusto merito al lavoro svolto dai Clandestino, rockband dalle sonorità di stampo anglosassone, che accompagnerà Ligabue anche nelle tre successive fatiche discografiche, facendo particolare menzione del chitarrista Max Cottafavi, bluesman di razza, autore di riff e assoli indimenticabili tra i quali quelli di "Balliamo sul mondo" e "Bar Mario", nel primo Album "Libera nos a malo", "Salviamoci la pelle", "Ho messo via" nei due successivi.
Ascoltando il disco, quello che subito si nota nella poetica di Ligabue è la tendenza a delineare tipologie umane, che sebbene si riducano ad un numero piuttosto esiguo, sono rappresentate magistralmente attraverso le storie dei personaggi dei quali racconta non solo nel suo primo album, ma anche nei successivi due: dal ribelle che non possiede null'altro se non la voglia di vivere intensamente di "Balliamo sul mondo", al ragazzo in cerca di esperienze forti che si ritrova nella stanza di una prostituta che ne sa senz'altro qualcosa in più di lui in fatto di sesso e di vita di "Bambolina e barracuda"; dalla serata tipo di un giovane che va a prendere sotto casa la sua ragazza per portarla al cinema e poi a fare l'amore di "Marlon Brando è sempre lui", ai vari personaggi del paese che ritroviamo tutti, come fosse una sfilata, nel bar di Mario; dai due fidanzati che si lasciano situazioni familiari e di vita difficili alle spalle per fuggire verso una meta ignota di "Salviamoci la pelle", al rocker che sogna un paese sconosciuto (l'America) e fino ad allora inesplorato se non con la fantasia, seppure questa resti tanto ottusamente quanto volutamente legata alle suggestioni suscitate dalle canzoni, dalla letteratura e dalle immagini dei film anni settanta di "Lambrusco e pop corn"; dalla "confessione" di un giovane latinlover che si è macchiato di troppi "atti impuri" di Libera nos a malo, al perdente Veleno, deriso dagli amici e tradito dalla moglie del brano "I duri hanno due cuori", o ancora il professore solo come un cane, la spogliarellista matura e il pianista fumatore di "La ballerina del carillon".
........continua.........
per ora mi fermo qua, non vorrei dilungarmi troppo, non conosco ancora bene tutte le regole di questo gioco. spero solo di avere l'opportunità di veder pubblicato quello che scrivo e di poterlo fare ancora al più presto, ripartendo da dove ho appena lasciato, dal secondo album "Lambrusco coltelli rose & pop corn".
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