A distanza di oltre vent'anni dai miei primi approcci con Luciano Ligabue, per me resta un mistero assoluto il perché questo modesto e farraginoso cantautore abbia avuto tanto e tale successo di pubblico. Con un livello di estimazione che rasenta il culto, giacchè i fans del Liga lo adorano e lo considerano una sorta di filosofo dispensatore di saggezza e visioni acute del mondo.

Ligabue è andato avanti per oltre un ventennio sfruttando una formula basilare, costituita da due modalità di canzone (la ballad e il rock tirato) modulate con schemi di una semplicità sconcertante, al punto che quasi tutto il suo repertorio suona identico. La satira si è infatti sprecata nel fare ironia sulle composizioni-fotocopia dell'ugola di Correggio. A questo si aggiunge un corpus di liriche che infarcisce di luoghi comuni e aforismi da bar ogni brano, dividendo la platea in quelli che credono di avere davanti un profeta illuminato e quelli che rimpiangono i bigliettini dei Baci Perugina.

"Mondovisione", album del 2013 che si è trascinato fino ad oggi con una serie di singoli e di concerti da grossi numeri, è l'ennesima riprova che Ligabue riesce a far proseliti e a tenere alta l'attenzione continuando a friggere l'aria. Una tracklist che già nei titoli dice tutto sul rimarcato Liga-pensiero e che all'ascolto non riserva novità di sorta. Talora disarmanti a tal punto che si esita a voler sentire la canzone stessa.

"Tu sei lei", "Sono sempre i sogni a dar forma al mondo", "La neve se ne frega", "Siamo nati per vivere".... una sagra dell'ovvietà e della pseudopoesia che ha pretese alte e invece lascia sconcertati coloro che hanno la lucidità di non esaltarsi al pensiero che davvero si è nati per vivere.

L'alternarsi di riff aggressivi, a partire dall'incipit di "Il muro del suono" - solita accozzaglia di frasi fatte sulle ingiustizie di lobbisti, governanti e parassiti - e ballatone schitarranti indistinguibili l'una dall'altra, si dipana per quasi un'ora seguendo il filo monocorde da crooner con la raucedine che è l'unica cifra stilistica di Ligabue. La voce, infatti, è il solo marchio di fabbrica identificabile e alla fine originale che fa distinguere lui da una massa enorme di cantanti e cantautori che l'Italia ha cresciuto nei garage e nelle case. Perché è innegabile che di strimpellatori più o meno dotati, in grado di scrivere quello che scrive Ligabue è piena la penisola. In vita mia avrò ascoltato centinaia di demo e di concertini in cui c'era il ragazzotto di turno che proponeva la sua ballad con fare dimesso e concentrato al tempo stesso, cercando di ammaliare con i toni di un Tom Waits ripulito o di uno Springsteen sedato, snocciolando liriche di vita vissuta e perle di saggezza liceale.

"Mondovisione" comunque ha venduto bene e ha ri-consacrato il suo autore nell'olimpo della musica pop italica. Fenomeno immarcescibile, riempie gli stadi e fa fuori dischi nell'ordine delle decine di migliaia di copie. Dunque, un mistero che permane e che peraltro la dice lunga sullo stato attuale della cultura musicale nel nostro Paese.

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