Come già ho precisato, la mia intenzione non è quella di recensire un album in particolare, ma di commentare invece l'intero percorso artistico di Luciano Ligabue. A tale scopo sarà, ad ogni modo, quella delle uscite discografiche la strada che seguirò per portare a termine tale progetto.

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Questo terzo album, pubbblicato nel 1993, ebbe un riscontro a livello di vendite molto al di sotto delle aspettative suscitate dai due lavori precedenti. Questo perchè, come dicevo, con questa terza pubblicazione, Ligabue decise di raschiare il fondo del suo cassetto pieno dei brani scritti in gioventù, e lo fece portando alla luce il suo lato più oscuro e più triste, che non lascia spazio, a differenza di quanto accadeva nei dischi precedenti, a nessun segnale ottimista o di autoindulgenza. Il nuovo sound ottenuto da Ligabue e dalla sua band, ancora una volta i Clandestino, ripulito a dovere e reso molto più duro rispetto a quello al quale il rocker emiliano aveva abiutuato fino a quel momento il suo pubblico, non fa che accentuare questa atmosfera di maledizione che si respira nei meandri di questo singolare album. Un sound grunge, ancora una volta con l'influenza delle sonorità di stampo anni '80 (del resto è nei primi anni di questo decennio che i pezzi hanno visto la luce), con tastiere prepotenti in perfetto stile Doors e hammond rotanti di ispirazione lordiana, e chitarre hardrock che ricordano quelle di nomi illustri come i Savatage e Neil Young. Chiaramente dovrebbe essere superfluo mettersi a fare precisazioni sulla natura di queste mie affermazioni, ossia che il sound di Ligabue, in questo album, ricalca quello del rock più duro di Neil Young, o che l'hammond di Gianfranco Fornaciari (che nei Clandestino aveva sostituito Giovanni Marani alle tastiere) ricorda quello di John Lord in certi brani dei Deep Purple, dal momento che dovrebbe essere chiaro a tutti che affermare questo è come dire di aver studiato un'esame di storia sul libro del Liceo (per non dire su quello delle medie o, perchè no, addirittura sul Bignami), piuttosto che sul manualone monumentale scritto dal professore in persona, sul quale ricade (a meno che non sia ricorso al riciclaggio) una parte non trascurabile delle responsbilità per il disboscamento della foresta amazzonica. Ma dal momento che sono convinto che molti lettori sarranno sobbalzati sulla sedia leggendo questi accostamenti (che non sono, evidentemente, paragoni), sarà utile alla mia causa chiarire che qualsiasi pezzo di Ligabue che evochi qualsivoglia illustre e illuminato autore o brano del passato (come è normale che accada dal momento che "tutto è stato detto e tutto è stato scritto"), debba essere inteso in nessun altro modo se non come una semplificazione della fonte di ispirazione (di ben più elevato livello artistico e qualitativo, si capisce) da cui l'autore emiliano abbia attinto.

Ora, tornando a bomba alla tristezza imperante in "Sopravvissuti e Sopravviventi", questa si sprigiona in ogni aspetto di quest'opera di carattere esistenziale, basata sulla metafora uomo-animale all'interno di uno zoo, che rappresenta il giovane rocker ribelle alternativo e disperato, sgomento di fronte alla realtà che lo circonda, che è ancora una volta quella di un borgo di 20000 anime, raccontata attraverso le storie di chi ci abita; personaggi tristissimi, ognuno caratterizzato da un suo personale dolore che lo porta a stare profondamente male ed a cercare inutilmente qualche gratificazione o perlomeno qualche consolazione. E' il caso di Regina, di Colera e di Ramengo, che cercano di colmare il loro vuoto interiore rispettivamente con il sesso, la birra e la musica ("Piccola città eterna", veloce ballata rock con chitarre distorte e un riff teneramente strascicato, in cui Ligabue rivela tutta la sua sensibilità in modo semplice e sincero, cosa che lo rende, a dispetto dell'opinione di molti, uno dei pochi veri rocker al mondo), o dei vari personaggi come il professore solo come un cane, la spogliarellista matura e il pianista fumatore già citati nella mia prima pubblicazione, che frequentano il night descritto in "La ballerina del carillon", brano pregievole che rappresenta il momento più cupo e triste dell'album; o ancora è il caso di Veleno, il protagonista di "I duri hanno due cuori", solo, deriso e tradito dalla moglie, sull'orlo del suicidio ("la gamba gli duole del peso del freddo di un cannone che chissà come è riuscito a trovare"), progetto ben presto accantonato ("un quarto alle due e Veleno è seduto sul ponte sul fiume a vedere la pistola affondare") in modo da lasciare che la sua vita si perpetri nello squallore più totale, situazione alla quale evidentemente si è ormai colpevolmente e irrimediabilmente abituato ("adesso il freddo è reale è passato alle ossa uscendo per forza dal cuore" o ancora "darà pugni alla porta di camera sua urlerà alla sua donna ed al suo amico di fare più piano e sul suo divano si stenderà"). Anche l'atmosfera che si respira in "Dove fermano i treni" non è certo più distesa; in questo spaccato di vita metropolitana siamo in una stazione centrale con il suo affannoso via vai tra militari in licenza, barboni, prostitute, balordi vari e semplici viaggiatori. E' senz'altro il brano più duro dell'intera produzione di Ligabue con distorsioni pesanti e batteria violenta, che tuttavia cadrà ben presto nel dimenticatoio come la maggior parte delle canzoni di questo disco del resto, fatta eccezione per "Ho messo via", ballata in 3/4 sulla "sindrome di Peter Pan" che crea una bella atmosfera dal sapore nostalgico all'interno dell'album, collocandosi come terza traccia tra il power pop-rock teso e spedito di "AAA Qualcuno cercasi" e il grunge quasi metal di "Dove fermano i treni". "Ho messo via" costituirà uno dei singoli di maggior successo che Ligabue abbia mai lanciato, che il rocker non mancherà mai di riproporre nelle sue esibizioni live in diverse versioni arrangiative, anche se la migliore resta senz'altro quella contenuta in questo disco, anche grazie ai due assoli presenti nel brano, quello di tromba alla fine del secondo ritornello suonato da Demo Morselli, ma soprattutto quello finale scritto ed eseguito alla chitarra elettrica ancora una volta da Max Cottafavi (praticamente l'ultimo frutto dell'estro creativo del chitarrista modenese che di lì a poco, insieme all'intera band dei Clandestino, porrà fine alla sua collaborazione artistica con Ligabue). Nell'analisi delle singole tracce che compongono l'album non ci si deve poi dimenticare di canzoni del calibro di "Ancora in piedi", l'incipit dell'album che parte blues e recitativo per poi esplodere in un possente hard rock, così come di hard rock si può parlare a proposito di "Lo zoo è qui", brano preceduto da un ben elaborato effetto sintetizzato di quelli che Ligabue qualche volta antepone alle sue canzoni. "Walter il mago", invece rappresenta l'ennesimo personaggio-simbolo nella poetica di Ligabue che ritroveremo anche in canzoni che il rocker di Correggio scriverà successivamente. Di scarso valore invece risulta essere "Pane al pane", anche se potrebbe essere considerato, rivalutandolo dunque, un brano volutamente brutto, sorta di ridondante esperimento alla Nick Cave di melodia che gira affannosamente e rumorosamente su se stessa. Discorso a parte invece per "Sopravvissuti e sopravviventi: tema", sorta di colonna sonora alla Ennio Morricone, che riesce benissimo, meglio della precedente "Quando tocca a te" che risulta invece un pò banalotta e fine a se stessa, nell'intento di chiudere il disco regalando all'ascoltatore un sospiro di sollievo, lasciandogli intravedere un raggio di sole, sia pur fioco, ma che dopo la tempesta costituita dalle precedenti dodici tracce, offre finalmente un senso di tranquillità e di pace.

Finisce così questo terzo album di Ligabue, indubbiamente il più "artistico" dei tre, un concept basato come dicevo sulla metafora uomo-animale di zoo, intenzione rivelata con chiarezza dall'autore già nella copertina, caratterizzato da realismo espressionistico, malinconia, riflessioni esistenzialistiche e vuoti dell'anima. Un album dunque dichiaratamente antiestetico e pertanto poco commerciale, che infatti non ebbe un considerevole successo a livello di vendite, che portò tra le altre cose alla fine della collaborazione tra Ligabue e i Clandestino e che fece maturare nel rocker di Correggio, a livello più o meno conscio, la convinzione non del tutto infondata che un altro disco per così dire "impegnato" non avrebbe di certo giovato alla sua carriera, che doveva invece essere (e di fatto si avviava nonostante tutto ad esserlo, grazie ad una caparbietà e una determinazione comune a pochi) quella di una indiscussa rock star, ai vertici delle classifiche della musica italiana.

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Elenco tracce testi e samples

01   Ancora in piedi (04:19)

Sopravvissuti a troppi sorrisi avuti
troppe volte senza un perch�
Sopravvissuti alle nostre domande
che son grosse, son tante e spesso ridicole
Sopravvissuti e sopravviventi
cos� e adesso e qui
Sopravvissuti ai nostri progetti
acqua sabbia e paletta e castelli cos�

Persi o no siamo ancora in piedi
Non so chi, ma qualcuno si
Sentir� cos�
Persi o no siamo ancora in piedi
Siamo ancora che, siamo ancora chi
Siamo ancora chi, siamo ancora che ne so..

Sopravvissuti ai nostri pensieri
a consigli, sbadigli, falsi sensi unici
Sopravvissuti alle voci gridate,
come ai troppi silenzi, come ai mormorii
Sopravvissuti e sopravviventi
ma chi? E che ne so...
Sopravvissuti ai sensi di colpa
c'� chi pu� e non ascolta e, cazzo, c'� chi non pu�

Persi o no siamo ancora in piedi
Non so chi, ma qualcuno si
Sentir� cos�
Persi o no siamo ancora in piedi
Siamo ancora che, siamo ancora chi
Siamo ancora chi, siamo ancora che ne so..

E' un mare pieno di zattere
� un mare pieno di salvagenti
� un mare con qualche isola

Sopravvissuti a vecchi e nuovi dolori
che aspettiamo i vaccini, nel frattempo chiss�
Sopravvissuti a tutto questo letame
quanti bagni e profumi e mascherine antigas
Sopravvissuti e sopravviventi
un po' gi�, un po' su, un po' gi�
Sopravvissuti ai '60 e ai '70
e gli '80 finiranno mai pi�?

Persi o no siamo ancora in piedi
Non so chi, ma qualcuno si
Sentir� cos�
Persi o no siamo ancora in piedi
Siamo ancora che, siamo ancora chi
Siamo ancora chi, siamo ancora che ne so..

02   A.A.A. qualcuno cercasi (04:59)

03   Ho messo via (04:46)

04   Dove fermano i treni (03:23)

05   I duri hanno due cuori (04:08)

06   La ballerina del carillon (03:43)

07   Prezoo (00:40)

08   Lo zoo è qui (04:00)

09   Piccola città eterna (05:04)

10   Walter il mago (04:19)

11   Pane al pane (03:35)

12   Quando tocca a te (05:33)

13   Sopravvissuti e sopravviventi: tema (01:34)

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Altre recensioni

Di  lele

 "Il liga ci prova... Si! È l'album in cui Ligabue dimostra che, applicandosi, a qualcosa di carino ci sarebbe potuto arrivare."

 "Troppo esplicito e poco originale; orecchiabile fino alla noia."


Di  ste84

 È un rock più deciso già dalla prima traccia; riff più taglienti e distorti e ritmo più sostenuto.

 Il migliore album del Liga... ora Lucianone a forza di suonare gli stessi tre accordi da 15 anni respira tutto un altro clima.


Di  Viva Lì

 "Avevo 18 anni ed ero poco più che un giovincello... credevo, sul serio, che Ligabue fosse un bravo cantautore."

 "La musica aveva un valore affettivo, e non importava se era bella o brutta: e se ci ripenso mi vengono i lacrimoni agli occhi."


Di  Bleak

 Ligabue ha scocciato: è semplicissimo. Non se ne può più di vedere sugli scaffali album identici l'uno all'altro.

 Probabilmente, un briciolo della sua vera personalità è venuta fuori in quest'album, a dispetto del Ligabue "rocker finto-ribelle da spot televisivo".