Avevo un conto in sospeso con questo disco, e i conti, si sa, prima o poi bisogna pagarli.
Avevo 18 anni ed ero poco più che un giovincello, in vena di goliardie mascoline e studi più o meno sbalestrati, e il Liga, lo ammetto, mi piaceva e pure parecchio. "Piccola stella senza cielo" è stata per molto tempo la colonna sonora della mia vita e lo sbattigambe (termine improprio per definire quella specie di musica sincopata a metà fra rock e grettezza) di "Balliamo sul mondo" non riuscivo più a togliermelo dalla mente. A 18 anni insomma, si commettono grandi errori: e quello di sopravvalutare eccessivamente il Liga fu un errore più che clamoroso (ammesso che il primo album, "Ligabue", è veramente riuscito).
"Lambrusco, coltelli, rose & Pop Corn" non era niente di estasiante, ma almeno era passabile (interessantissima, soprattutto, l'acustica "Camera con vista sul deserto"), ma fu "Sopravvissuti e sopravviventi" che mi aprì definitivamente gli occhi. Perchè fu lì, in quel preciso istante, che ebbi modo di capire l'errore che stava commettendo: credevo, sul serio, che Ligabue fosse un bravo cantautore.

Da quel lontano 1993 non ho mai più riascoltato "Sopravvissuti e sopravviventi", ma, si sa, al ritorno da una vacanza la botta di malinconia è tanta, e allora mica puoi metterti lì ad ascoltare i Genesis o i Biohazard, sarebbe come vedere un film di Kubrick durante un'escursione nelle fogne cittadine. E così, impolverata nel cassone del mio monolocale, ho trovato "Sopravvissuti e sopravviventi", musicassetta che, nonostante tutto, ho sempre conservato in mezzo a traslochi e cambi d'alloggio, tra ricordi e delusioni, tra gioie e amarezze. Sempre lì, sempre senza mai ascoltarla, ma sempre vicina.
E mentre sei lì, indaffarato a disfare quella stramaledetta valigia che ti indica la fine delle ferie (che gira e rigira sono sempre troppo poche), ecco spuntare una specie di miracolo: dallo stereo cominciano ad avvertirsi, prima impercettibilmente, poi sempre più forti, dei suoni musicali a te tanto familiari ma, a ben vedere, distanti anni luce. Canzoni che ascoltavi a 18 anni, che ti sembravano carine, sapevi che non erano capolavori assoluti, ma per abbordare una ragazza, nel 1993, Ligabue bastava e avanzava. Ma gli anni sono passati, sono passati 13 anni, la scuola è finita, gli amici si sono persi e le donne sono un pò meno ingenue e un pò più esigenti. E ti accorgi, col senno di poi, con un'altra età, che quello che da giovane ti sembrava carino nient'altro era che una solenne e banalissima boiata.
Per carità, se si ha un pò di cuore e un pò di coraggio nel saper affrontare l'affiorare dei ricordi, non si può non provare un mezzo brivido ascoltando "Ho messo via" o la dolcissima "Walter il mago" (quello che "tornava da Mario come una star"), ma non si può nemmeno sorvolare su tutto. Perchè da giovane ti piacevano i ritmi sincopati di "Ancora in piedi" e oggi scopri che sono talmenti fasulli e scopiazzati, da risultare vecchi e maleodoranti, e come scordare il fintissimo hard rock di "Lo zoo è qui" (ma Ligabue lo sa cos'è l'hard rock o pensa che per farlo bastino due chitarre, un pò di grinta alla batteria e un testo strampalato e a tratti persino ridicolo?). "Dove i treni fermano" è anche passabile, tutto sommato, ma la chitarra a 12 corde di "La ballerina del carillon" farebbe impallidire persino un inerme chitarrista dilettante, e a nulla serve autoplagiarsi con "I duri hanno due cuori" (mezza cantata e mezza parlata, come "Bambolina e barracuda", oppure i rimandi sono addirittura più alti, che so, il mezzo cantato e il mezzo parlato di "La lontananza" di Domenico Modugno?). Gli archi di "Piccola città eterna" sembrano sinceri, e quindi non posso criticare, ma Santo Dio, quando avevo 18 anni mi faceva impazzire "Quando tocca a te" mentre oggi scopro che in realtà è una stupida canzonetta di quasi sei minuti in cui più che banalità assortite non vengono pronunciate (quando tocca a te tocca a te, e capirai che novità, hai scoperto l'acqua calda caro Liga). E poi quell'aria da altezzoso, quei pezzi strumentali che vorrebbero essere tocchi di classe mentre invece, per lo più, sono noiosi e inconcludenti.

La valigia è vuota, la musicassetta è finita. "Sopravvissuti e sopravviventi" non è un disco che voglio buttare, lo voglio tenere tra le mie cose più care, anzi, fra le mie cose più sincere. Perchè sai che è un disco che musicalmente vale poco, ma ogni qualvolta partono le note di "Ancora in piedi" mi sembra di ritornare indietro nel tempo, quando la musica era un veicolo per passare le giornate con gli amici e non ti masturbavi mentalmente a pensare "ma quali gruppi hanno fatto la storia del progressive?". A quei tempi la musica aveva un valore affettivo, e non importava se era bella o brutta: e se ci ripenso mi vengono i lacrimoni agli occhi.
Ma cazzo, 13 anni sono passati così alla svelta?

* Solitamente non scrivo recensioni in cui racconto fatti personali o intimi. Questa volta ho fatto un'eccezione. Perdonatemi se potete. Altrimenti non importa. 

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