Dalle nebbie della mia memoria riaffiorano i Lucifer’s Friend. Un gruppo che avevo lasciato con un ottimo disco d’esordio, all’insegna di un hard rock molto elaborato e dalle atmosfere oscure. Li ho riscoperti solo di recente e quello che ho sentito mi lascia piacevolmente sorpreso. Avevo già letto da qualche parte della svolta progressive del gruppo nei successivi dischi, ma probabilmente non avevo ben inquadrato la direzione né la portata di questo cambiamento. E ad essere sinceri non è che mi sia completamente chiara tuttora. Resta il fatto che questo “Banquet” mi ha letteralmente travolto con la sua freschezza e originalità. Bisogna ammettere che il “kraut rock” in generale ha sempre cercato di distinguersi rispetto ad altri movimenti europei, i quali hanno sovente rincorso una sorta di emulazione della proposta musicale albionica. I cugini teutonici invece hanno spesso seguito una linea più sperimentale e bizzarra, nel segno di una decisa libertà creativa, senza cedere a facili compromessi commerciali.
I Lucifer’s Friend confermano quanto sopra in questo disco dalle mille sfaccettature. Una grande opera di contaminazione tra culture musicali, una miscela incontrollabile di sonorità, di arrangiamenti mutevoli e lussureggianti. Musica libera ed ariosa, suonata con tecnica sopraffina pur senza mai risultare eccessiva. Un tessuto sonoro sempre aperto alla melodia, che a tratti viene iniettato di visionaria improvvisazione jazz, dove emergono prepotentemente delle indemoniate invenzioni solistiche. Un album frenetico, folle, avvolgente, che però forse non avrebbe la stessa carica emozionale senza il prezioso apporto di un superlativo John Lawton. Il futuro singer degli Uriah Heep (di “Firefly” e “Fallen Angel” per intenderci) è infatti un notevole valore aggiunto, con il suo timbro limpido e possente, unito ad un’estensione vocale da brividi. Mi sento di dire che difficilmente si è mai trovato un cantante di tali capacità in un gruppo di rock progressivo. Tra l’altro le armonizzazioni vocali e gli accattivanti refrain presenti nel disco ricordano proprio la band in cui Lawton troverà la propria fortuna.
Ma signori miei le sorprese non finiscono qui, perché a condire il tutto c’è una vera e propria sezione di fiati ed ottoni a creare orchestrazioni maestose alla maniera dei Blood Sweat & Tears o dei Chicago. I brani chiave di questo splendido lavoro sono tre lunghe suite. “Spanish Galleon” apre il disco con ritmiche e sonorità latine, accompagnate da refrain ariosi e decisamente catchy, per poi lasciare spazio agli arabeschi di un sax torrenziale, dal piglio lirico e dissonante. E’ comunque la successiva “Thus Spoke Oberon” a toccare le vette creative di quest’opera. Una canzone dal raffinato gusto melodico che nella parte centrale mette in evidenza delle escursioni pianistiche estremamente dinamiche, sorrette da un drumming prepotente. “Sorrow” completa l’ispirata trinità alternando atmosfere malinconiche e sognanti ad esplosioni di energia, con Lawton in evidenza a spegnere ed accendere l’interruttore emozionale. A completare il disco la più ritmata e per così dire convenzionale “High Flying Lady” e un brano acustico e dal sapore retrò come “Dirty Old Town”, che vi posso assicurare non sono dei semplici riempitivi.
Colpevolmente trascurati dal grande pubblico e da una parte della critica, i Lucifer’s Friend ci hanno lasciato una discografia di assoluto valore, della quale a mio parere questo “Banquet” rappresenta il vertice. Se amate il rock a 360° questo è un disco da avere assolutamente.
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