E già.

Se c'è un segno distintivo dell'intera discografia battistiana è il carattere epidittico dei titoli dei long-playing: a due anni dalla "Giornata Uggiosa" mogoliana non c'è altro da dire che "E già", non c'è altro da fare se non riconoscere che le cose sono andate come era inevitabile che andassero: quel "tipo intellettuale appariscente che in fondo in fondo non valeva niente", Mogol, non è che un ricordo da dissolvere tra le note di un soffuso "Mistero", un episodio già chiuso e concluso di un capitolo che vuole ancora arricchirsi di sensazioni nuove.

E già, Lucio, ti sei sentito in dovere di scrivere ancora qualcosa di te per fare capire che vuoi ancora fare della musica, che sei ancora un cantautore valido, che soprattutto, non c'è più bisogno di un intellettuale per poter scrivere canzoni: si possono fare autonomamente, senza solecismi e preterizioni.
A chi affidarsi adesso? Il paroliere che compare nei titoli di coda, "Velezia", acronimo sillabico di "Grazia Letizia Veronesi", moglie dell'autore, ha l'aria di essere un fantoccio messo lì per nascondere l' effettiva stesura degli stessi testi da parte del cantante di Poggio Bustone: la tesi, ormai generalmente accettata è avvalorata dai diversi riferimenti ad esperienze personali di Lucio, e ammesso che sia assolutamente utile avvalorarla adesso, il sunto è che comunque questa è una produzione fai-da-te.

E già, Lucio, un disco per far capire che nulla è finito, che tutto è da compiere. A bene vederlo un vero e proprio passo falso, un lavoro che non è né carne né pesce, scontato nei testi, inefficace nelle musiche, tinteggiato da colorature new-age che non ne fanno un prodotto originale e icastico. Naïf nella costruzione, naïf nel carattere disincantato degli asettici disegnini di Luca Battisti, figlio di tanto padre, naïf nella forma e nel contenuto.

E già, Lucio, questo lavoro non l'hai rinnegato, nonostante la fredda accoglienza da parte di critica e pubblico, nonostante la povertà contenutistica e musicale: ne hai denunciato la sincerità, la naturalezza, l'immediatezza; non hai torto, ma parametri come quelli citati, tanto presenti in questo lavoro, non devono per forza coincidere con povertà lessicale e formale: "Windsurf windsurf/ Veleggia e va/ Portami lontano/ Da questa rumorosa città" è sì un elogio di un hobby a cui sei stato spesso legato, ma è anche una filastrocca senza spinta e pàthos; "Slow motion la notte di Babbo Natale/ L'orecchio teso per sentirlo arrivare/ Si estrae la fortuna l'uomo è sulla luna" è un esempio di rime baciate che non è difficile ritrovare tra gli esercizi stilistici di un bambino; "La tua felicità", titolo di traccia e ispirazione dell' album rimanda alle decine di parole assonanti di cui è popolato l' album: "serenità, infelicità, verità"... tormentone sonoro.

E già, Lucio, da sempre innovatore musicale e profeta delle nuove sonorità in patria, stavolta non precorri i tempi. Sperimentazioni elettroniche del genere, già in auge in Europa attraverso Eno e i Kraftwerk sono in voga in Italia da qualche anno, e forse con risultanti più confortanti e omogenei di quelli raggiunti con questo lp.

Che salvare, Lucio? Le divertite divagazioni della title-track, forse, l'affascinante atmosfera di "Straniero".

E già, Lucio, quel "tipo intellettuale appariscente che in fondo in fondo non valeva niente" non era poi un pugno di mosche, anzi, preferiamo ricordare i suoi testi, il magnifico incantesimo che ti legava a lui, la Storia della Musica Italiana.

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