Se fossi un musicista vorrei essere Gene Simmons, co-fondatore dei “Baci” dalla lingua extra lunga e non nel senso che è un gran chiacchierone. Farei musica di merda, ma con le donne con le “mutandine rosa” avrei un discreto successo, anche in età avanzata. Sicuramente meglio di ora che, tra prostatite, stanchezza cronica e poco interesse, faccio fatica a portare a termine la settimanale.

Invece fossi un musicista italiano, magari della provincia di Rieti, per l’esattezza poggiobustonese o poggiobustevole, no poggiese, cazz … bolognese, sarei Lucio Dalla!

Ma se fossi nato il giorno dopo di Dalla e mi fossi chiamato ugualmente Lucio chi sarò mai?

“Lo scopriremo solo vivendo”?

E cosa significa paronomasia? Non lo sapete? Ecco un esempio:

mi sto accorgendo che son giunto dentro casa / con la mia cassa ancora con il nastro rosa / e non aver sbagliato la mia spesa /o la mia sposa

poi un assolo da far impallidire Gilmoure o Waters e qualsiasi fan dei pink floyd, con Lucio che continua a cantare “chissà chi sei”, però solo su LP, mentre sul singolo non compare. Chissà come mai… Ed il chitarrista Phil Palmer dichiarò di aver registrato di getto in un’unica lunghissima take, perché doveva andare dal dentista. Forse è il primo caso di ortodonzia musicale per l’assolo più famoso d’Italia.

D’altronde se “sogno di abbracciare un amico vero” che mi scrive Mogol per l’ultima volta, facendomi desiderare di scomparire da tutte le scene note ed allontanarmi dalla “brianza velenosa” che mi evoca il disastro di Seveso, qualcosa tra i due c’era sicuramente. Che dire poi di “L'odio feroce, l'odio ruggente
Fa male dentro e brucia la mente, Io ti capisco, ne so qualcosa”… 45 anni fa, Lucio comincia la sua sparizione dalle scene. Basta concerti, ospitate televisive ed interviste, con una piccola eccezione in cui dichiara al giornalista Giorgio Fieschi che “Non parlerò mai più perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte” e poi “Un artista non può camminare dietro il pubblico. Un artista deve camminare davanti”. Dando così una spiegazione (?) alla sua sparizione dalle scene. Per la fine del sodalizio con Mogol, una coppia che, senza esagerare, sicuramente è stata la migliore in Italia, al pari di Lennon/Macca nel resto del mondo, invece permangono ancora ora tanti dubbi. Allora perché è finito il sodalizio? Tirchieria? Lite sulle Royalties? Invidia per la celebrità dell’uno rispetto all’altro?

Ma chissenefrega delle motivazioni, accettiamo il fatto ed andiamo avanti. Sarebbe come chiedersi come mai la Juventus vince(va) così tanti scudetti, meglio non indagare... L’ultimo disco della fantastica coppia è proprio questo, la giornata uggiosa del febbraio 1980. Lucio qui dimostra il suo amore per la disco music, capendo, anzi percependo il suo rapido declino e quindi va oltre. Echi di Supertram o ELO appaiono qua e là, le tastiere la fanno da padrone, in fondo qui cominciano gli anni 80. Il produttore, Geoff Westley, spinge molto in tal senso, la band che lo accompagna comprende il batterista di Alan PArson Project, un membro dei futuri Simple Minds, un collaboratore di Van the man, un membro (ancora!) dei King Crimson, un altro dei Brand X di Phil Collins, insomma il gotha del pop dell’epoca, il tutto a Londra, lontano dai fans e giornali, con la possibilità di lavorare tranquilli ed a lungo. Il risultato è questo disco, in cui convivono capolavori assoluti come le title track, un pop rock inebriante e “Con il nastro rosa”, di cui è già stato detto tutto, il capolavoro assoluto di tutta la musica italiana; con brani minori, tra tutti “Una vita viva” che con un falsetto irritante e troppi oh oh oh è giusto skipparla . Ma il resto del disco è una vera meraviglia, innovazioni musicali che ancora dopo 45 anni ci stupiscono, rendono il tutto moderno ed attuale. “il Monolocale” dal ritmo funky, un ritornello composto da una sola parola (vendesi), con splendido riff di chitarra finale. “Arrivederci a questa sera”, ballabile e con una sezione di fiati di soul morbido che sembra di sentire gli Earth, Wind & Fire, con il sax di Mel Collins nel finale a raggiungere vette pop elevatissime. Che dire della musicalità di “Orgoglio e dignità”, brano in 12/8 con due assoli di tastiere che si intrecciano. Funky, ritmi latini, il vertiginoso falsetto di Lucio, echi dello stile “urlatori” (l’amicizia con Adriano Pappalardo avrà influenzato qualcosa?), un inizio di elettronica… Inutile il TBT, riascoltatelo, e poi ditemi se questo disco è il calimero della discografia battistiana.

Volevo rendere giustizia a questo capolavoro pop, ancora oggi attualissimo, trattato ingiustamente male nelle recensioni già presenti sul debasio. Personalmente lo ritengo addirittura superiore al precedente “Una donna per amico”, ma i gusti sono gusti, d’altronde chi sono io per giudicare un grandissimo come Lucio Battisti, poggiobustonese, no, bustoso, ummh, … di Poggio Bustone e che cazz…

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