"Pura archeologia del beat italiano" lo definisce delrock, stroncandolo a uno manco fosse un Inter-Poggibonsi a marzo. E invece.

Nel 1966 il Lucione nazionale è uno sgangherato suonatore di clarinetto che ha già battuto diverse zone del bolognese, in compagnia tra l'altro di Pupi Avati - che aveva lasciato nel '62, indotto proprio dalle scatenate evoluzioni al clarinetto di Dalla.

Un fumetto, insomma.

Vederlo adesso in copertina, gambe incrociate a fianco dei suoi "Idoli", fa sorridere. E ascoltare quello che ci proponeva il Belpaese all'epoca - una scialba bruttacopia del beat inglese - è ancor peggio. Ma dalla sua Dalla ci mette la passione per il jazz, quello infuocato delle band di dixieland, e una curiosità verso James Brown che cominciava a furoreggiare aldilà dell'oceano.

Le canzoni sono poco più che dei bozzetti dominate da un Farfisa onnipresente, tenere prese per il culo al genere ("Quando ero soldato", "LSD"), quanto genuflessioni a quello che chiedeva l'epoca ("Lei non è per me" e praticamente tutta la seconda facciata). Nel mezzo, omaggi a James Brown (un'indiavolata "I got You" e "Mondo di uomini", da "It's a Man Man's World"), un' intensa title track e "Paff...Bum!", che salta agli occhi solo perché sarà presentata al festival di Sanremo nientemeno che in coppia con lormaestà gli Yardbirds.

Passeranno altri quattro anni per un seguito, e di questo esordio Dalla sarà il primo a perderne le tracce.

Erano veramente altri tempi, non c'è che dire.

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