E' dal lontano 1979 (lontanissimo, a pensarci bene) che quando viene pubblicato un nuovo disco di Lucio Dalla si sente vibrare qualcosa.
Oggi forse è più nostalgia che emozione vera e propria, più curiosità che entusiasmo.
Chissà perché non perdiamo la speranza, noi incazzati, innamorati di quel sound.
Non la perdiamo perché, di fondo, amiamo Dalla, la sua musicalità, amiamo come suona la sua voce, il suo modo di concepire il cantautorato (o almeno provarci) come materia in perenne movimento, malleabile e modificabile. Le sue ottime intonazioni e quelle che son state le sue ottime intenzioni.
Solo che, come spesso accade anche nell' esperienza di tutti noi, alle ottime intenzioni molto spesso non seguono ottimi risultati.
Ma certo -e questa è una premessa che dovrebbe veder d'accordo tutti...- non si può dire che Lucio Dalla non sia un gran lavoratore. Ha fatto di tutto: collaborazioni, dischi cantautorali puri, rilettura dell'opera, imprese jazz.
Non dico abbia fatto tutto bene. Ma ha fatto (quasi) tutto. E, quasi sempre, ha fatto bene.
Certo, è difficile sopravvivere a se stessi, al proprio periodo d'oro. Il tempo, come dice il Prof., non si innamora due volte dello stesso uomo.
E il periodo d'oro, per Lucio Dalla, va dalla metà degli anni settanta alla metà degli ottanta. Checché ne dicano molti, il suo testamento spirituale è stato quel "1983" criticato aprioristicamente, persino dallo stesso autore, come un'opera improvvisata, un po' "raffazzonata", fatta probabilmente di scarti dei meravigliosi dischi precedenti. Disco che, invece, risentito oggi, ha un sapore sublime, di cui parleremo un'altra volta.
Per stare a questo prodotto appena sfornato, dicevo, non son riuscito a rassegnarmi e non riporvi alcuna speranza, ma, con la saggezza dell'età, ho anche imparato, finalmente, a non illudermi quasi mai.
E, dalle prime note, la frase che rimbalzava tra le incasinate stradine vie della mia povera testolina è stata (ed è) "tutto sommato è meglio del solito".
I suoni mi sembrano decisamente buoni, persino, a tratti, originali. Il disco è molto "confezionato" (e questo, oggigiorno, è a dir poco lapalissiano) ma è anche arrangiato bene, con gusto e tecnica.
I brani son scritti in maniera decente. Certo senza il folle volo pindarico surreale dei testi degli anni d'oro.
A livello di buon artigianato, diciamo, e forse persino qualcosina in più.
La voce è bella come sempre e qua e là, senza cedere alle lusinghe al suo passato ed al nostro, s'intravedono piccole grandi aperture di vera bellezza. È il massimo che può dare, evidentemente, oggi. E comunque non è pochissimo.
Oh, intendiamoci, l'America (anche la sua) è lontana, dall'altra parte della Luna.
Però questo disco si ascolta, e si ascolta bene, è breve il giusto e sa essere malinconico e divertente come un vero cantautore sa o dovrebbe saper essere.
È chiaro: pur inserendosi a pieno titolo nel filone del "Dalla post Cambio", ovvero in quel Lucio che abbiamo iniziato a riconoscere a fatica, pur volendogli bene come a uno zio, o forse meglio un cugino più grande, che ci ha insegnato e regalato un sacco di cose belle.
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