Correva l’anno 1985 e Lucio Dalla cambiò cappello. Per noi che lo adoravamo, chi da “Banana Republic” come me, chi da prima, quello rischiava d’essere un segnale. In più, il singolo che gironzolava nelle radio, “Se Io Fossi Un Angelo”, proprio non ci entusiasmava. Ci sembrava banalotto e facilotto, sostanzialmente un passo indietro anche rispetto alle ultime due opere, “1983” e “Viaggi Organizzati”, che a tutti già allora apparivano, come dire, scollinanti. Però Dalla si comprava a scatola chiusa. Nel mio caso in cassetta (e poi, se valeva la pena, si faceva lo sforzo del vinile, oggetto preziosissimo e religiosissimo che si cercava di sentire poco, benché si sentisse meglio, per non rovinarlo). Bene, ricordo le prime impressioni di quella cassetta, di fondo non così cattive. Ma è noto che fossi schifosamente di parte quando si parlava di Lucio Dalla, ed avevo la tendenza irrefrenabile a perdonargli tutto o quasi. Persino il cambio di cappello (già imperdonabile di suo, col senno di poi, ma mai e poi mai immaginammo che fosse foriero di un cambio di capelli…dio mio…).
Comunque, stando sul disco, il singolo sicuramente rappresenta l’episodio meno riuscito dell’intera opera, e, com’è giusto che sia nei paesucoli come il nostro, è l’unico che è “passato alla storia” trovandosi ancor oggi nelle compilation, tipo quella galattica ed ultranatalizia, tre inediti munita, che caratterizzerà le nevi (se arriveranno) del Natale 2006. E questa è un’ingiustizia, però, detto calimeramente.
Il disco, benché l’ultimo dei belli o il primo dei brutti (poi ne parliamo), ha alcune cartucce che meritano d’essere sparate senza troppa vergogna. C’è “Chissà Se Lo Sai”, segno tangibile che allora si collaborava ancora con Ron e Stadio (entrambi in grande forma), bella ballad con qualche debituccio di troppo a Simon&Garfunkel, c’è “Luk”, ultima vera prova di “linguaggio universale”, questa volta messa in bocca al “cane che parla…anzi canta e quando canta fa così…”. Poi c’è “Tania Del Circo” bel brano strumentale di schietta impronta jazzistica, dove i protagonisti sono il sax di Lucio e il piano di Franco D’Andrea, e che curiosamente nelle note di copertina porta un testo (oltretutto non male) con l’originale consiglio “cantatela voi…”. Poi due o tre brani-riempitivo, ma non brutti, come “Soli Io E Te”, “Scusami Tanto Ma Ho Solo Te” e “Navigando”, quest’ultima composta, stando alle note di copertina, da “tutti”, come a voler sottolineare un “gioco di squadra” che da lì in avanti non caratterizzerà poi nessun’opera di Lucio. Bella anche “Ribot”, capitolo poco conosciuto e divertente della storia simpatica delle canzoni “sportive”, che vanno da “Bartali” di Conte a “Varenne” di Jannacci, passando per molte altre.
Che dire, in definitiva, di questo disco? Per molti, come dicevo, è l’inizio della fine. Per altri, lì Lucio era già finito. Io non posso negare che queste registrazioni segnino una transizione che avrà il suo colpo di reni nel successivo, simbolico quanto fondamentalmente brutto “Cambio”. Sentendo “Cambio”, infatti, e molti dei successivi, si rivaluta forse questo “Bugie” come disco di passaggio, non ispiratissimo ma con ancora un’ombra del Dalla migliore. Sentendo bene “Bugie”, però, si rivalutano di sicuro i due precedenti, “1983” e “Viaggi Organizzati”, che, ancora ispiratissimi e figli di una ancora presente voglia di dire qualcosa, avevano l’unica pecca (allora mortale, e che oggi verrebbe sì e no notata…) di venire dopo una serie di capolavori assoluti che hanno caratterizzato la carriera di Lucio Dalla a cavallo tra i ’70 e gli ’80, anni nei quali, a mio avviso, l’Autore non aveva nulla, ma proprio nulla, da invidiare ai colleghi più amati, più longevi e considerati più puri quali De Gregori, Guccini o persino De André. Come dice un mio fraterno amico, con quel Dalla là una parte di noi sarà sempre in debito. Con questo no, ma è colpa sua fino a un certo punto. C’è un momento in cui l’ispirazione, il “Gong-oh” contiano, se ne va, e non c’è più verso di riacchiapparlo. E allora si smette di scrivere, suonare, dipingere, girare, cantare per libidine, e si continua a farlo per contratto. È l’eterna condanna di (quasi) tutti gli Artisti.
Carico i commenti... con calma