Ecco un film che ha una certa importanza nella storia del giallo all’italiana, nonché uno dei più giustamente famosi di Lucio Fulci. "Non si sevizia un paperino" è innanzitutto una pellicola innovativa nel suo genere, che si inserisce con originalità in uno scenario allora dominato dai gialli d’alta società stile "Orgasmo", dai sexy thriller dei fratelli Martino e soprattutto dalla “trilogia degli animali” di Dario Argento. In secondo luogo, è un film sorprendentemente rigoroso e serio – caratteristica non proprio scontata, quando si parla del regista di "E tu vivrai nel terrore! L’adilà"–, che non si concede eccessi di visionarietà né di truculenza, ma riesce bene a conciliare il meccanismo narrativo tipicamente poliziesco con l’atmosfera malata e inquietante dell’ambientazione.
L’elemento peculiare del film è proprio l’ambientazione: un arretrato paesino della Lucania descritto con modalità quasi neorealiste, dove convivono credenze arcaiche e fanatismo religioso e neppure il commissario di polizia sembra del tutto immune alle superstizioni locali. Quando la comunità viene sconvolta da alcuni terribili omicidi di bambini i sospetti di tutti dapprima convergono sullo scemo del villaggio, poi sulla misteriosa donna (la “maciara”, benissimo interpretata da Florinda Bolkan) di un bizzarro stregone. Mentre la polizia brancola nel buio, il giornalista Tomas Milian e la bella di turno Barbara Bouchet indagano per conto loro e scoprono gli inevitabili altarini.
Ricco di notazioni socio-antropologiche sulla vita delle comunità rurali (si può a tutti gli effetti parlare di “giallo sociale”), il film pone questioni e riflessioni meno banali di quanto sembri a prima vista. Sull’ovvia contrapposizione fra tradizioni arcaiche del paese e spinte di ammodernamento – le une e le altre ben esemplificate dai personaggi opposti della Bolkan e della Bouchet – si sovrappone un secondo contrasto, più sottile e anche più inquietante, fra le tendenze civilizzatrici e le pulsioni violente e antisociali dell’animo umano, dove le seconde sembrano avere continuamente la meglio sulle prime.
In questo senso, è interessante notare l’ambiguità morale di quasi tutti i personaggi, dalla Bouchet che si diverte a scandalizzare un bambino di dodici anni mostrandogli il proprio corpo nudo (scena censuratissima che costò al film la denuncia), ai genitori dei ragazzini uccisi che sfogano i loro più bestiali istinti omicidi vendicandosi ferocemente sulla Bolkan. Il massimo di audacia però Fulci lo raggiunge nella descrizione dei bambini, che il parroco nel film (e la morale comune in generale) si ostinano a considerare degli angioletti innocenti e che invece ci vengono mostrati fin dall’inizio intenti a fumare, torturare lucertole, prendere in giro i poveracci e tentare approcci con le prostitute.
"Non si sevizia un paperino" è innovativo anche per la modalità con cui costruisce la suspense. In un periodo in cui gli stilemi del giallo argentiano erano già noti e inflazionati, Fulci ha la brillante idea di ambientare scene di omicidio alla luce del sole e di utilizzare una colonna sonora dai toni lirici e malinconici (c’è anche una canzone di Ornella Vanoni scritta appositamente per il film da Riz Ortolani) che accentua ancora di più la componente morbosa dell’atmosfera.
Più che l’esibizione del sangue – piuttosto contenuta – conta infatti la costruzione di un’atmosfera inquietante e fuori dal tempo, dove aleggiano di continuo gli echi di superstizioni arcaiche e oscure maledizioni: senza però cedere alle suggestioni dell’horror e del fantastico puro, e anzi costruendo un congegno narrativo che è forse fra i più plausibili ed efficaci del giallo all’italiana (tra l’altro uno dei pochi il cui titolo “zoologico” ha effettiva attinenza con il contenuto della trama).
In seguito Fulci si indirizzerà su strade diverse dal giallo puro e semplice, privilegiando quelle – fonte di gioia inesauribile per i suoi fan – dello splatter, dell’horror e non di rado del trash: senza peraltro possedere la raffinatezza di Dario Argento o il genio di Mario Bava. E’ un peccato, perché il pregio maggiore di questo bel film sta proprio nel non comune rigore con cui è costruito.
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