La marcia delle donne nel gennaio 2017 è stato il momento più significativo nella storia democratica degli USA negli ultimi due anni. Se il contenuto politico è tuttavia ancora da sviscerare, quello di tipo simbolico è evidente: più di 500mila donne hanno manifestato nella sola capitale. Altre due milioni hanno preso parte all’iniziativa nel resto del paese. Numeri giganteschi che sono indicativi e che hanno un significato che non è solo dissenso e che supera i principi sul quale si basano altre proteste del passato perché qui si rivendica la parità di genere ma anche, soprattutto per le più giovani, una affermazione della propria identità e autodeterminazione come donna al di là di ogni possibile stereotipo.
Lucy Dacus, 23 anni, proveniente da Richmond in Virginia è forse in campo musicale l’artista più rappresentativa di questa nuova generazione. Superando catalogazioni come quella di “sacerdotessa del rock” oppure “chanteuse” e quelle di cantautrice per forza raffinata e dalla voce angelica e parodie dark e elettroniche di robaccia mainstream, questa ragazza riesce a essere semplicemente se stessa in un complesso di canzoni di taglio decisamente alternative rock (dieci in totale) che sono tanto convincenti quanto significative nei contenuti e in cui mostra uno spiccato talento sul piano della scrittura e delle interpretrazioni, che sono in qualche maniera dinamiche e a tratti persino ironiche e ammiccanti, come volere in qualche modo esorcizzare se stessa e i contenuti delle sue canzoni.
Il suo primo disco (“No Burden”, 2016) era stato un vero e proprio “casus”: uscito per una piccola etichetta, si rivelò inaspettatamente un grande successo. Allora le maggiori etichette "indie" hanno fatto a gara per metterla sotto contratto: l’ha spuntata la Matador Records che ha ristampato il primo LP e prodotto il secondo. Questo apparentemente non ha cambiato Lucy, che non ha fatto segreto di una certa ansia nell’attesa della pubblicazione del disco, cui ha dato un titolo importante come “Historian” (registrato a Nashville con un produttore influente come John Congleton) e in cui mostra una maturità inaspettata per una autrice così giovane e dove maturità significa soprattutto auto consapevolezza e nessuna paura di mettersi veramente in gioco. Forse musicalmente nel complesso non propone niente di nuovo, ma lo fa sicuramente bene e la sua forza del resto sta proprio nella sua determinazione e nel coraggio nel mostrarsi in maniera autentica e senza sovrastrutture e pure senza nascondere una certa timidezza e questo è veramente tanto e la ragione per cui alla fine dovrete ammettere che questo disco non ha praticamente nessun punto debole o che se questi ci sono, alla fine va bene così perché tanto la perfezione per fortuna non esiste.
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