Ludovico Einaudi è un raccomandato. Figlio dell'editore Giulio Einaudi, nipote dell'ex Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Un cognome così non passa inosservato, in nessun campo: Ludovico ha scelto la musica, nella sua accezione più orchestrale, ed il consenso popolare è arrivato, nonostante il campo non sia uno dei più accessibili. Ma quell'Einaudi la dice lunga, e svela il mistero.
Ludovico Einaudi è un vecchio imbolsito, un falso intellettuale. Elegante, sobrio, fascinoso, un po' sarcastico, meditativo, tutte caratteristiche che possono confarsi sia a coloro che la musica la vivono e la respirano quotidianamente, sia a coloro che mimetizzano una parete comunicativa di tetro nulla dietro un'aria misteriosa e, comunque, sempre ricercata. È lapalissiano dire a quale delle due categorie possa appartenere il soggetto in questione.
Ludovico Einaudi è, inoltre, un pianista davvero mediocre. Semplicissimo, banalissimo, e per di più assai ripetitivo. Ascolti un album e sai già come suonerà il successivo. Puoi prevedere lo stacco, la soluzione melodica, la voluta strumentale. Puoi origliare le sue canzoni e ripeterle identiche subito dopo, anche se quella serie di tasti bianchi e neri riflessi da una vernice lucida non ti dicono proprio niente. Non fai in tempo a congratularti intimamente con lui per un passaggio ben riuscito, che già dopo un paio di minuti te lo ripropone, magari in tonalità e scala diverse, ma sempre quello è. E rimane.
Ludovico Einaudi, infine, è pure piuttosto odioso come personaggio. Rilascia interviste in cui parla di cose che non sa, nelle quali non riesce a spiegare il perchè della sua totale pochezza compositiva. Non riusciresti a difenderlo nemmeno se vuoi, perchè quel suo girare di parole lo rende antipatico anche a te. Non riesci a capire che cosa proponga: ambient, classica, barocca, jazz, minimalismo, orchestrale? O solo una grande zuppa riscaldata dove tutto sa di tutto e alla fin fine non sa di un bel niente? Un collage poco ispirato, senza personalità nè piglio inventivo?
Tutto questo è assolutamente vero.
Ma eccolo arrivare, nel 2006, questo "Divenire", ad appena un anno di distanza dallo split con Ballakè Sissoko, suonatore di kora maliano, certamente non mediocre, nè pseudo-intellettualoide, nè tantomeno raccomandato. E, aggiungo, decisamente più esotico ed originale del nostro connazionale.
Ti basta il titolo e la copertina. Filosofia jarrettiana spicciola e anche mal assimilata. L'ennesimo, inutile lavoro di un artista sopravvalutatissimo. Poi guardi la durata: un'ora e un quarto. Tsk. Non lo ascolterò mai. Aggiungiamo pure che, per questa session, Ludovico Einaudi è andato a registrare in Tibet, con l'Himalaya dirimpetto, e abbiamo confezionato il perfetto pacco all'antrace.
Anche questo è vero. Ma tentar non nuoce, no?
Allora, brevemente: "Uno" è impalpabile, "Divenire" ha un crescendo noiosissimo, "Monday" glissa a fatica su una sezione pianistica assolutamente caramellata, "Andare" riprende il tema dell'opener -con più noia, bisogna dirlo-, "Rose" è carina, se non fosse che Ludovico Einaudi ha cinquantadue anni e non quindici, "Primavera" piace ma ha un inserto di archi nel mezzo svolazzante e assolutamente inconcludente, "Oltremare" è lunghissima (undici minuti) e naufraga miseramente in un acquazzone di mille ricicli quando non ne è trascorsa nemmeno la metà, "L'Origine Nascosta" è semplicemente inutile, "Fly" è una brutta summa di quanto finora seguito, "Ascolta" è lentissima e monotona, "Ritornare" e "Svanire" sono belli, lucidi, stiracchiatissimi rifacimenti di loro stessi, in un turbinio di vacuità.
Ok, tutto chiaro.
Bene. Ora, rispondete a questa domanda: perchè Ludovico Einaudi riesce ad emozionarmi ogni volta in maniera differente, a trasmettermi un fortissimo carico di sensazioni, pur avendo una tecnica strumentale pericolosamente prossima allo zero? Che cosa lo rende speciale, per me, in mezzo ad una selva di artisti ben più meritevoli, ben meno pompati, ben più originali e, sì, dai, aggiungiamolo: ben più giovani? Non mi interessa se Einaudi si è diplomato al Conservatorio "Giuseppe Verdi" di Milano, perchè i risultati continuano a non vedersi. Lui vuole fare i dischi per vendere, ma puntualmente non vi riesce e, involontariamente, ci ritaglia dentro un pezzo di sè.
Einaudi non violenta il pianoforte, non ha un rapporto di sudditanza con esso. Il suo è, sempre e comunque, un tocco leggero, alla ricerca del suono facilone e dell'accostamente cromatico che si sposa con la noia più cronica: non troverete mai ripartenze irruente dentro questo "Divenire", per quante volte lo possiate sfogliare. Gli archi e i sintetizzatori, sullo sfondo, disegnano arabeschi che non stupiscono e non ammaliano, parodia di loro stessi e del loro assurdo romanticismo. Fate uno più uno ed avrete il disastro completo, invece no: pur annullandosi a vicenda, i due elementi si completano e si incastonano perfettamente, pronti per un viaggio siderale.
Quando parte "Divenire" riesco a scorgere i cirri sfumati lì, in alto, Riesco a toccarli, a viaggiarci sopra, a bucarli. Allo scoccare di"Primavera", invece, vedo distintamente disegnarsi, sul tappeto del salotto, una serie di boccioli in fiore, che esplodono in tutta la loro lucentezza ed in tutto il loro inebriante profumo, nel trionfo della natura. Cosa può fare a volte un titolo, vero? "Oltremare", invece, mi sembra una lunga odissea, tormentata, dove anche i flutti oceanici, che sciaguattano sui bordi delle cuffie, diventano nostri compagni. "Andare" mi piace perchè, al contrario di quanto potrebbe suggerire, non mette fretta. Aspetta che sia l'ascoltatore a fare il primo passo. Non aggredisce, non si mette in mostra con ghirigori tecnici inutili. È lì, e basta. Lo stesso può dirsi per "Svanire", che plagia spudoratamente il Riz Ortolani più operistico e soffia il suo residuato in aria, vaporizzandolo in un cangiante arcobaleno di archetti.
Ludovico Einaudi è, come si suole -ed ama- dire in questa webzine, un "trombone". Capace ancora di sbagliare nell'impostare i suoi lavori, e di regalarci qualcosa che, forse, avrebbe voluto tenere per sè. A voi la scelta, adesso.
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