Ludovico Einaudi è il musicista dal tocco delizioso e finemente velato di malinconia che qualche anno fa ci ha regalato “I Giorni” un disco scintillante e delicato che si compone di undici ballate per pianoforte solo. L’impostazione di Einaudi è pressoché di stampo minimalista, (Nyman, Mertens) ma la sua poetica essenziale e sottilmente introversa è pervasa in maggior misura da tonalità dolcissime e carezzevoli con le quali dipinge onde e arcobaleni dal morbido colore pastello in una cascata di note sognanti e rilassatissime. Atmosfere rarefatte evocano echi di mondi lontanissimi e assai poco terreni. Le strutture temporali paiono del tutto dimenticate e quasi assenti, ma l’ispirazione dell’artista è ai massimi livelli, ricca e profonda e sincera.

Einaudi si esibisce in un fluire di brani intrisi di una bellezza primordiale e semplice poesia (I due fiumi) che hanno l'incedere avvolgente del respiro (In un’altra vita, I Giorni). Tutto l’album è sottilmente percorso da un tenue e lievemente nostalgico "mal d’Africa" che si incarna nella circolarità di “Melodia africana”, eco lontana di un motivo dolce e un po' malinconico di una antica canzone del repertorio Mandè. Einaudi gioca fra note e silenzi e le sue composizioni sono quanto di più amabile e luminoso si possa immaginare. Ludovico Einaudi permette alla musica di volteggiare, librarsi e respirare: un disco incantevole e commovente.

Lasciatevi cullare.

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