Il concerto per pianoforte è un'invenzione prodigiosa della mente umana. Mettere il suono dell'orchestra sinfonica a dialogare col pianoforte, già di per sè un'orchestra in miniatura, è un'idea semplice ma geniale. Le possibilità timbriche si moltiplicano, il range espressivo si dilata, l'elaborazione tematica può essere più profonda e radicale.

Il primo grande compositore capace di raggiungere vette d'eccellenza con questa forma d'espressione è stato Wolfgang Amadeus Mozart, il quale ne scrisse un paio di dozzine, una decina dei quali capolavori ed entrati in maniera stabile nel repertorio contemporaneo. Beethoven ne scrisse solo cinque. Il terzo e il quarto, bellissimi, introducono alcune innovazioni formali, il quinto mette in primissimo piano il pianoforte e raggiunge vertici di meraviglioso lirismo. E' considerato da molti il capolavoro di Beethoven in questa forma, per purezza espressiva, bellezza melodica e vivacità ritmica. E l'interpretazione del nostro Arturo Benedetti Michelangeli con i Wiener Symphoniker diretti da Carlo Maria Giulini è sicuramente una delle più celebrate, e la più bella che io conosca.

Molte caratteristiche di quest'opera aprono nuove prospettive per i futuri sviluppi del genere: parte la musica, e a colpire l'orecchio è subito il carattere quasi improvvisatorio dei passaggi pianistici, virtuosisticamente vellutati, che precedono l'entrata del primo tema, e la scrittura di un vero e proprio dialogo concertante laddove ci sarebbe stata solitamente la cadenza del pianista. Anche la notevole durata del primo movimento (più di venti minuti), spezza le consuetudini del passato, aprendo nuove possibilità.

La tonalità dell'Allegro iniziale è la stessa della Sinfonia “Eroica” (mi bemolle maggiore), tipica del “concerto militare” e questo, insieme alla grandiosità dell'organico strumentale, fa sì che sia percepita una solenne trionfalità, tale da giustificare il titolo di “Emperor Concerto” che gli fu dato in Inghilterra dopo la morte di Beethoven. Tutto è splendore, lussuosi palazzi, nobiltà interiore, pulizia di marmi e smalti, giardini lussureggianti, uniformi in perfetto ordine, sfarzo mitigato dall'infinita dolcezza del secondo tema, una delle cose più tenere scritte da Beethoven.

Con il secondo movimento, l'Adagio, Beethoven fa disegnare dal pianoforte una bellissima melodia tutta interiorità e poesia, giocata su un tempo rubato che crea un rallentamento e la rende come sospesa nel vuoto, eterea. Alla fine del movimento, una serie di lenti accordi ascendenti serve da preparazione al tema del terzo movimento, il Rondò finale. Un momento molto emozionante, se si conosce questo concerto. Infatti l'ultimo movimento esplode senza soluzione di continuità in un ritmo veloce in 6/8, un modulo che aveva avuto le sue origini nella musica da caccia, e presenta molti accenti sincopati che lo rendono una delle idee più famose e trascinanti di Beethoven.

L'interpretazione di Michelangeli è di altissimo livello artistico, pulita, piena di grande dignità e rispetto per la partitura. Se cercate una esperienza uditiva che vi trasporti in un mondo lontano dal grigiore urbano, fatto di asfalto bagnato dalla pioggia, rumori, puzze varie, sguardi stanchi e sconfitti negli inadeguati mezzi pubblici... di ritorno a casa, prima di cenare, dedicatevi 40' di pura Bellezza. E contemplate...

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