Quando il percorso della tua vita è destinato a portarti alla grandezza, probabilmente sei già in grado di capirlo a tredici anni.
Questa è l'eta che aveva il giovane Beethoven quando scrisse la sua seconda opera in assoluto, le 3 Sonate per Pianoforte WoO 47 del 1783, dedicate all'allora Principe Elettore di Colonia e perciò dette "Sonate dell'Elettore" (Kurfurstensonaten).
Già dal suo esordio - le "13 Variazioni in do minore su una Marcia di Dressler Wo0 63" - il giovanissimo Beethoven avrà probabilmente stupito non solo per il virtuosismo dimostrato, ma anche e soprattutto per la scelta coraggiosa di una tonalità minore, fortemente in contrasto con un genere "leggero" quale quello delle variazioni. Si noti bene, quella tonalità di "do minore" che scolpirà ben altri capolavori del Maestro.
Le successive 3 Sonate per Pianoforte presentano tre movimenti ciascuna nella consueta struttura allegro-adagio-allegro, anche se il giovane B. già introduce alcuni elementi caratterizzanti che si ritroveranno in altre opere più mature: proprio la tonalità minore della seconda sonata (questa volta in fa), l'inserimento di un tema con variazioni come Minuetto della terza.
In tutte e 3 le sonate è evidente il debito nei confronti dei maestri passati, primo fra tutti il Mozart della Sonata per pianoforte K 310 (guarda caso anch'essa in tonalità minore...). Ma con Mozart siamo, chiaramente, ad un livello di maturità artistica ben diverso da quello già raggiunto dal giovane Beethoven.
Delle 3 Sonate la più interessante è sicuramente la seconda in cui il Maestro comincia a sperimentare soluzioni che svilupperà in futuro: adagi a più riprese ad introdurre passaggi marcatamente virtuosistici, movimenti lenti caratterizzati da una struggente bellezza melodica, ricchezza di scrittura compressa in un singolo movimento.
Sfortunatamente non esistono in commercio molte edizioni di queste sonate. A parte quella economica Naxos dell'integrale di Jeno Jando (che non ho ascoltato), restano quelle Deutsche Grammophon di Jorg Demus e Emil Gilels. Se non altro vi stupirete nello scoprire come si può rappresentare in maniera così diversa la stessa musica.
Alla lettura "settecentesca" di Demus, caratterizzata da una certa delicatezza e linearità espositiva, tanto da immaginare quasi il suono di un clavicembalo, si contrappone il capolavoro di Gilels che proietta tali sonate in un futuro prossimo. Il materiale e le idee sono le stesse, ma la sua intelligenza artistica le trasforma, nobilitandole ulteriormente. Non ci sono artifici di sorta. Non è una questione di virtuosismo, al contrario. L'uso di elementi semplici quali accenti, pause, gioco di volumi (magie totalmente assenti in Demus) consentono di percepire tutti i dettagli e tutta la grandezza di queste piccole grandi sonate. Se avete la pazienza di ascoltare il sample (il finale dell'"Andante" della II Sonata) potrete capirlo meglio di quanto io sia in grado di spiegarlo. E' un frammento, ma dà l'idea di quanto un artista possa approfondire nei dettagli lo studio di una partitura. Non oso immaginare cosa possa fare Gilels di fronte ad una Patetica...
Questi lavori sono ovviamente solo il punto di partenza di uno dei più grandi compositori che la storia ricordi, ma meritano almeno di non essere dimenticati solo perchè facilmente etichettabili come immaturi.
Jorg Demus (piano), Deutsche Grammophon, 1970, ADD
Emil Gilels (piano), Deutsche Grammophon, 1986, DDD
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