Alla fine del 1792, all'età di 21 anni, Beethoven lascia la nativa Bonn per il secondo, definitivo viaggio a Vienna. In tasca, la lettera dell'amico e protettore Conte Waldstein, che gli augura di poter "ricevere lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn", insieme alla promessa di divenire allievo proprio del più grande compositore vivente. Alle sue spalle, Beethoven lascia una situazione familiare più serena rispetto al passato, portando con sé un curriculum composto da una manciata di opere giovanili pubblicate per volontà paterna e quasi una cinquantina di pezzi d'occasione, che ci raccontano di una maturità artistica ancora da raggiungere.
Di fronte a sè, Vienna e la conquista di un posto d'onore nella storia dell'umanità.
Ospite nelle residenze principesche del Conte von Lichnowsky, che ne accetta le di lui stravaganze e maleducazioni, Beethoven dà inizio in quegli anni alla radicale trasformazione del musicista da asservito dipendente a libero artista, completando un processo già tentato dal tardo Mozart. Se non maturità artistica, quantomeno una ben solida maturità sociale.
È in questo contesto che nascono i 3 Trii per Pianoforte, Violino e Violoncello, a cui Beethoven attribuisce l'"onore" di opera prima.
Si tratta di lavori ancora da collocare nel contesto della Hausmusik, ossia della pratica musicale domestica, priva cioè di quelle ambizioni ed intemperanze riservate a ben altro genere: il Quartetto per Archi.
I 3 Trii, simili nella struttura formale - articolata in 4 movimenti - e nella predominanza della scrittura pianistica, presentano però elementi caratterizzanti e progressivamente innovativi.
Il primo, in mi bemolle maggiore, è quello più vicino al modello haydiano, per equilibrio formale e dialogo tra gli strumenti. La cifra beethoveniana emerge nel meraviglioso "Adagio cantabile", in seconda posizione, a cui segue la sostitutizione del Minuetto con uno "Scherzo", ancora molto lontano dalla pulsione che raggiungerà in futuro.
Il secondo Trio, in sol maggiore, comunica già sensazioni diverse. L'"Adagio" introduttivo, dal sapore concertistico, anticipa un "Allegro vivace" di moderato virtuosismo. Il "Largo con espressione" che segue è ancora il Beethoven migliore, con una strizzatina d'occhio al Mozart del Flauto Magico nell'esposizione del tema principale...
Con il terzo Trio, nella prediletta tonalità di do minore, l'attenzione si sposta dai movimenti centrali a quelli estremi. L'"Allegro con brio" iniziale è già proiettato nell'immediato futuro, per slancio "eroico", elaborazione formale, dialogo intessuto tra i tre strumenti. Il "Prestissimo" finale ha, invece, la capacità di apparire come una libera fantasia su un tema dai forti accenti, incastonata nei rigidi dettami della forma classica.
Le occasioni di ascoltare in disco i tre Trii sono decisamente rare, se confrontate al resto della produzione Beethoveniana. Il riferimento resta sempre l'integrale del Beaux Arts Trio edita negli anni '80 dalla Philips, anche se la registrazione un pò troppo brillante penalizza non poco il violoncello, già di per sè sacrificato in partitura.
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