La recente scomparsa di Luigi Comencini rende opportuna una sintetica recensione di uno dei suoi  film commercialmente fortunati, come "La donna della domenica" ('74), indicativo di una certa evoluzione del giallo all'italiana nei fiorenti anni '70.

Riassumo rapidamente la trama del film ad uso degli utenti di DeBaser che non l'abbiano ancora visto: la Torino bene degli anni '70 è scossa dall'omicidio dell'architetto Garrone, ambiguo e vizioso professionista massacrato con un fallo di pietra (!). Le indagini sono condotte in parallelo dal commissario Santamaria (meridionale trapiantato in Piemonte) e da alcuni esponenti della buona borghesia torinese. La soluzione dell'enigma sarà sorprendente, nella sua (sabauda) concretezza.

Va subito detto che il film, pur eccellente, è inferiore al romanzo da cui è tratto, esordio narrativo della coppia di intellettuali "einaudiani" Carlo Fruttero e Franco Lucentini. Nel libro, la trama gialla era un pretesto per sorvegliati esercizi letterari basati sulla interrelazione dei "linguaggi" (quello dell'alta borghesia, della Torino popolare, della città degli immigrati meridionali), e la stessa soluzione dell'intreccio giallo si celava dietro l'errata interpretazione di un antico proverbio piemontese. Alla varietà dei linguaggi corrispondeva una varietà di personaggi tracciati con abilità dalla penna dei due scrittori, dipingendo una sorta di "commedia umana" che aveva i suoi antecedenti nei grandi romanzi ottocenteschi. Il romanzo, a tutt'oggi fra i "long sellers" dell'editoria italiana, risulta a mio avviso fra le letture più interessanti del secondo novecento, pur senza avere gli stigmi del capolavoro letterario: sia sufficiente la lettura del primo capitolo, in cui si descrive la giornata di Garrone nel giorno in cui fu ucciso, fra vizi e passeggiate nel centro di Torino.

Nel film, la varietà di stili e linguaggi si perde a favore di una rappresentazione, talvolta bozzettistica, dei vari personaggi, con un indovinato Mastroianni ad interpretare l'indolente romano Santamaria, gli incerti (ma affascinanti) Jaqueline Bisset e Jean Louis Trintignant ad interpretare i rappresentanti della borghesia piemontese. Ottimi i caratteristi che dipingono i personaggi di contorno, da Lina Volonghi a Gigi Ballista, passando per Pino Caruso, Giuseppe Anatrelli, Aldo Reggiani.

Il lungometraggio comprime, ed esalta, la trama gialla del libro di Fruttero e Lucentini, a scapito della complessità dell'esercizio letterario, ponendosi come esempio "nobile" di giallo all'italiana, sfruttando la scia dei Bava, Fulci e Argento: ciò avviene attraverso l'impiego di attori di primo piano e grande richiamo commerciale, sceneggiatori navigati, eleganza formale a scapito della compiaciuta violenza dei film allora in voga.

Non mancano le scene di suspence, godibili dagli appassionati e anche da chi è poco avvezzo al cinema giallo: in tal senso, il film ha quasi un carattere divulgativo, avvicinando ad un genere cinematografico considerato, a torto, di serie b, anche il pubblico meno avvezzo. Personalmente, fu proprio attraverso "La donna della domenica" - oltre che ai gialli per ragazzi della Mondatori (Nancy Drew, Fratelli Hardy, I Tre Investigatori, Pimlico Boys) - alla letteratura ed al cinema giallo.

Da ultimo, la visione di questo film lascia sempre, in me, un interrogativo: quanto ha contato la (probabile, se non certa) lettura de "La donna della domenica" sulla stesura dello script di "Profondo Rosso"? Nessuno l'ha mai chiesto a Dario Argento o Bernardino Zapponi.

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