Pubblicato per la prima volta a puntate su una rivista, “Il fu Mattia Pascal” ebbe subito un grande successo di pubblico in Italia e in Europa. Scritto nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, Il Fu Mattia Pascal risente delle influenze sia naturaliste che decadentiste; Pirandello e’ un autore talmente originale che non e’ possibile inserirlo in una corrente letteraria ben definita. La storia e’ raccontata in prima persona ed e’ incentrata sulle esperienze del protagonista che, inutilmente orientato verso la ricerca di una esistenza piu veritiera e libera, finira per perdere ogni cosa, anche il suo stesso nome. Mattia approfitta del fatto che i suoi parenti e i suoi conoscenti lo credono morto e cambia identita’, reinventandosi Adriano Meis. Alla fine, Mattia ha perso entrambe le sue possibilita’ esistenziali e anche quel minimo di certezze che la sua vecchia vita provinciale gli dava, ma ha capito che la vera identità non esiste perche’, dietro alla maschera di quella sociale, non c’e’ assolutamente nulla. Rimasto tagliato fuori da tutto, Mattia non rimpiange la sua vecchia identita’ burocratica e decide di vivere nascosto e distaccato dalla realta’ sociale come solo puo’ fare un eremita. Quello di Pirandello e’ il romanzo allegorico della fine dell’identità e della morte della personalita’. L’autore pone l’accento sulla frantumazione dell’identita’ individuale stretta tra le maglie di una societa’ soffocante, in cui ciascuno e’ costretto a nascondersi dietro una maschera, che sia essa quella del lavoro o dell’unita’ familiare, senza poter esprimere se stesso e le proprie idee liberamente, ma rimanendo ancorato al ruolo che la societa’ gli ha dato. Ogni maschera, se tolta, mostra il vuoto che si e’ andato creando a forza di indossarla: gli uomini cessano allora di avere qualcosa da dire al prossimo che non siano vuote falsita’. La vita diventa cosi una farsa in cui ognuno recita la propria parte ed in cui ogni individuo, legato agli altri da rapporti antiautentici, e’ pronto a puntare il dito e ad accusare il prossimo, se questo varca in confini della recita prestabilita. Noi stessi, sotto l’influenza della societa’, finiamo per percepirci come ci percepisce la societa’ stessa:, ci vediamo dall’esterno, senza che il nostro Io autentico possa correre libero per le sterminate praterie della mente umana. Ognuno di noi viene percepito diversamente a seconda di chi lo guarda: questo presuppone che noi abbiamo varie identita’ a seconda di come “l’altro” ci percepisce. Il vitalismo pirandelliano consiste proprio in questo: la vita viene vista come un incessante passaggio da uno stato all’altro, che rende l’uomo pieno di sfaccettature diverse: gli uomini cambiano con il passare del tempo. In un primo momento siamo una persona con determinate caratteristiche, l’istante dopo siamo gia’ un’altra persona, siamo cambiati. Pirandello eredita questa teoria dallo psicologo francese Alfred Binet, che credeva che in ogni uomo esistessero piu’ persone che, ignorate dall’individuo stesso, si esprimevano attraverso di lui. L’individuo, per Pirandello, e’ schiacciato dalla societa’ in cui vive, di cui non riesce a liberarsi proprio per la natura sociale propria dell’essere umano, e si ritrova a sognare possibilita’ migliori e una vita diversa. Mattia cerca infatti di riscattarsi perseguendo una vita piu’ autentica, estraniata dalla societa’, in cui le maschere cadono e ci si puo’ veramente guardare in faccia per come si e’ per davvero, e non per lo status sociale in cui ci relegano il lavoro e la famiglia. L’autore rappresenta la crisi del Positivismo, della fede nella scienza che faceva apparire il mondo ordinato attraverso principi universali incontestabili. Il punto di vista del Positivismo era solo uno, quello razionale della scienza, che non lasciava spazio all’espressione della sfera emotiva ma soffocava la molteplicità delle forme in un'unica essenza. Pirandello si scaglia dunque contro la visione di mondo ordinato, comprensibile appieno solo grazie agli strumenti scientifici e si mostra propenso per una visione della realta’ dalle mille forme, complessa, in continuo mutamento, in cui ogni punto di vista “personale” e’ una verita’ di per se’ incontestabile, poiche’ vera per quell’individuo. Cosi’ per Pirandello la realta si spezza in diversi frammenti che non hanno un senso nella loro complessivita’ ma ne hanno solo in loro stessi. Le leggi che regolano il meccanismo della vita sono in continuo cambiamento, per questo e’ impossibile afferrare una verita’, visto che la durata della sua autenticita’ e’ breve. Gli uomini cercano delle verita’ assolute in base alle quali regolare la loro esistenza, vogliono stabile il terreno sotto i loro piedi anche se, come non cessa di ricordarci Pirandello, esso non puo’ che franare. Ognuno e’ fautore di una verita’ incomunicabile e quindi in continuo contrasto con quella degli altri: dunque, alle parole non resta che comunicare falsita, frasi vuote di circostanza che non mostrano il vero io interiore. In Pirandello e’ quindi riscontrabile la teoria del relativismo: ogni verita’ non e’ che una proiezione soggettiva e mai universale; ogni principio e’ personale, e questo crea incomunicabilità tra gli uomini, troppo diversi tra loro per apprezzarsi veramente. Questa incapacita’ comunicativa rende l’individuo estraneo agli altri, perso dentro un mondo tutto suo. L’individuo e’ caos, cambia a seconda delle situazioni in cui si trova e a seconda degli stati d’animo che prova, che lo inviano ogni volta in mille direzioni diverse che, come un labirinto, alla fine conducono a una liberta di pensiero che i positivisti possono solo invidiare. Per Pirandello l’unica forma d’arte in grado di cogliere tutti gli aspetti della realta’ e di mostrare il lato oscuro della luna di ogni concetto, invenzione o idea e’ quella umoristica, tipo di arte corale che rappresenta la realta’ mostrandone il multiforme aspetto e le continue contraddizioni, confutando qualsiasi certezza. Mattia Pascal, nonostante le sue trasformazioni e i vari cambi di indentita’, resta sempre lo stesso: e’ questo il motivo della sua sconfitta, che e’ la sconfitta di ognuno di noi poiche’, pur odiandola, ci sentiremo persi senza la nostra identita’ sociale che, in un mondo dominato dalla borghesia, e’ ormai subentrata all’identita’ individuale ed e’ un punto di riferimento prima di tutto per noi stessi, che ci vediamo ormai come gli altri ci vedono. Sacrificare se stessi in nome della comunita e’ pero’ un grande errore, perche’ cosi si perdono le peculiarità di ogni individuo, diverso dagli altri e che, in quanto tale, e’ un patrimonio per tutta l’umanita’. Che sarebbe del mondo senza le differenze individuali? Ci troveremmo in una noiosa e piatta quotidianita’, in cui nulla puo’ piu’ stupirci: proprio questo sta accadendo oggi, dove sempre piu’ individui vedono il mondo con gli occhi del loro televisore e vengono “globalizzati” perdendo la loro identita’ culturale. Le particolarita’ del singolo scompaiono in nome di cio’ che piace alla maggior parte, le differenti sfumature evaporano lasciandoci davanti a un unico modello da seguire. Al tempo stesso, vige per tutti il concetto televisivo che o sei una star o non sei nessuno, come se la tua invidividualita’ non contasse e tu facessi parte di una massa informe di individui anonimi. La trasformazione del mondo in un unico panorama, che presuppone la metamorfosi di ogni individuo in un solo modello e’ uno dei temi piu’ attuali e inquietanti dei nostri giorni. Tema odierno ancora oggi, lo sbriciolamento della personalita’ e’ un sintomo dell’epoca a cavallo tra Ottocento e Novecento, dove l’industrializzazione costringeva milioni di operai all’alienante lavoro nelle fabbriche e li relegava nelle estranianti quanto gigantesche metropoli moderne, in cui ogni uomo appariva come una formica di fronte a una piramide. Anche la burocratizzazione della societa’ provocava una forte spersonalizzazione che rendeva l’uomo un atomo singolo e anonimo nella vastita’ di un organismo gigantesco. L’idea di un Io fautore del suo destino, promulgata dalla borghesia durante l’Ottocento, si sfalda e lascia posto a un io separato dalla societa in cui vive e che vaga senza meta come una particella impazzita. La mancata identita’ rende gli uomini soli e fragili, come tasselle di un mosaico che non hanno senso di per se ma solo nel contesto sociale. Pirandello punta il dito sulla crudelta’ della societa’ borghese che, come una prigione, trangugia tutte le identita’ per poi rigettare individui disumanizzati, gia’ morti dentro eppure ancora vivi, apatici nei confronti della vita. Per questo Pirandello puo’ essere definito anarchico, in quanto si ribella a tutte le istituzioni e alle forme sociali su cui queste si basano e mira a una vita piu’ autentica in cui ognuno si esprime per quello che e’. L’autore attacca anche la vita famigliare borghese, monotona, spenta, in cui i rancori stagnano e marciscono sgretolando quei rapporti che dovrebbero invece rafforzare l’identita’ di ognuno. Il lavoro e’, per Pirandello, il campo in cui i malviventi si arricchiscono sulle spalle delle persone oneste, oppresse dal lungo orario e dalla ripetitivita’ del loro ruolo, ormai quasi del tutto rimpiazzato dalle macchine. Gli individui finiscono cosi per diventare ruote di un grande macchinario, in cui al posto del nome subentra il numero. La critica della societa’ borghese attuata da Pirandello e’ totale, senza che si possa fuggire negli ideali di possibili societa’ alternative: non si scappa da questo tipo di esistenza avvilente. L’unica via di liberazione praticabile e’ quella dell’arte e della fantasia, oppure la scelta ancora piu’ radicale della follia, che e’ per Pirandello lo strumento rivoluzionario per eccellenza, che abbatte qualsiasi visione preordinata del mondo in favore della pluralità dei punti di vista. Pirandello propone spesso nelle sue opere il personaggio dell’esule, che si estrania dalla societa e vede gli altri uomini, schiavi dei meccanismi collettivi, con un misto di ilarita’ e pieta’. Questo atteggiamento pirandelliano viene chiamato “filosofia da lontano” in quanto chi la adotta, come un eremita, e’ totalmente estraneo alla realta’ sociale e, come se fosse sulla cima di una montagna, contempla gli uomini come piccoli insetti che si affaccendano nei loro sforzi quotidiani, per motivi che a lui risultano futili e assurdi. Per Pirandello dunque, per vivere un’esistenza autentica, non resta che stare in solitudine.
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