Mi ha sempre colpito una vecchia riflessione di Dario Argento sul giallo all'italiana, e sulle ragioni per le quali il genere esplose soprattutto negli anni '70, con vasto successo di pubblico, prendendo il posto degli western spaghetti che tanto andavano di moda nel decennio precedente: secondo il regista romano, una delle ragioni del consenso riscosso da questi film era data dal fatto che essi portavano la violenza ad un livello parossistico, finendo per esorcizzarla, in un contesto storico sociale in cui essa costituiva un dato quotidiano. Nella prospettiva di Argento, il grand guignol di un "Profondo Rosso" finiva per essere uno svago rispetto al sangue che correva sulle strade, per iniziativa di vari gruppi di "sinistra" o "destra".

Mi domando come questo ottimo e dimenticato film, ad opera di un (grande) artigiano della commedia all'italiana possa essere interpretato, nell'ottica assunta dal Maestro del thriller: non foss'altro perché Luigi Zampa era zio (naturale) di quel Renato Curcio indicato come principale leader ed ideologo delle BR, uomo maturo che nell'autunno della sua vita si trovava immerso in un Paese lacerato da violenze, molto lontano dall'Italia del boom economico che lo stesso regista aveva educatamente rappresentato, non senza sferzante ironia, in piccoli capolavori come "Il Vigile", e che da queste violenze era probabilmente toccato anche nell'intimo.

Mi domando se in Zampa vi fosse, anche inconsapevole, il dubbio che le violenze degli anni '70, fossero, in parte, anche colpa dei padri (o delle generazioni precedenti), incapaci di risolvere i conflitti latenti nella società italiana, sia a livello sociale, che politico ed economico.

Questa lunga digressione iniziale non sembri fuorviante per i lettori di Debaser: credo infatti che il rapporto fra padre/figlio, ed in generale una più ampia riflessione sulle origini della violenza, sia l'autentica chiave di lettura de "Il Mostro" (1977), ottimamente interpretato da un Johnny Dorelli alla miglior prova cinematografica della sua carriera, prima del recente "Ma quando arrivano le ragazze?"di Avati e da un buon cast di caratteristi (Angelo Orlando, Renzo Palmer), fra i quali spicca anche un'affascinante Sidney Rome.

Il lungometraggio che narra dell'ascesa professionale di un giornalista di second'ordine (ridotto a curare, sotto pseudonimo, una rubrica per cuori infranti), catapultato "al centro della notizia" quando un misterioso assassino seriale lo sceglie come interlocutore privilegiato e narratore delle sue gesta omicide.

L'ascesa del Nostro, divenuto grazie ai suoi scoop nome di punta della principale testata cittadina, è infatti contrassegnata da un pessimo rapporto con il timido e complessato figlio, il quale ha dapprima subito le frustrazioni paterne, e l'incapacità del giornalista di emergere nella professione, venendo di seguito accantonato dal padre quando il Mostro determina con le proprie efferatezze la svolta nella carriera del protagonista.

La trama gialla risulta, in tale prospettiva, come una sorta di pretesto per rappresentare la frammentazione degli affetti nella società dei tardi anni '70, il dolore intimo che fa quasi da contr'altare alla conclamata ed inestirpabile violenza della società: il giornalista ha una famiglia disastrata, essendo divorziato dalla prima moglie e madre del ragazzo, non è in grado di comprendere le ansie e tristezze del figlio - sostanzialmente abbandonato -, e non appena ottiene un minimo successo (frutto di tragedie altrui e delle gesta del Mostro) tende a liberarsi del ragazzo, riempiendolo di ricchezze materiali ma privandolo dell'affetto richiesto, e punta a rifarsi una vita con una giovane ed affascinante starlette locale.

In ciò, egli è un campione di cinismo e di opportunismo, una maschera quasi tragica dell'individuo indifferente alle vicende del mondo, se non nella parte in cui esse possono riverberare a suo favore, garantendo la sua ascesa sociale ed economica. Al dunque, è forse il vero Mostro a cui allude, ambiguamente, il titolo del film, responsabile non solo della sua infelicità e rovina, ma anche di quella del figlio e della propria famiglia.

Traslato a livello più generale, il messaggio del film sembra quasi una chiamata in correità della generazione dei padri per le violenze dei figli, simboleggiata dal tragico ed agghiacciante finale del film.

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