Cosa alquanto improbabile e pretenziosa sarebbe se mi mettessi a stilare una graduatoria dei migliori film dell'ineguagliabile (e ineguagliato) genio spagnolo Luis Buñuel. Maestro assoluto e supremo che, dapprima, fu tra i pionieri del surrealismo cinematografico, per poi sviluppare un proprio stile fortemente ed inesorabilmente dissacrante scagliandosi senza pietà contro l'infinito e sconvolgente squallore delle classi borghesi e ecclesiastiche. Al tempo stesso, quindi, pensare di individuare un ipotetico "periodo della maturità", sarebbe tanto di più impossibile, oltre ingiusto. Ma è ad ogni modo innegabile che la serie che va da "Viridiana" (1961), passando per "L'angelo Sterminatore"- "Bella di Giorno"- "La Via Lattea", fino ai devastanti "Il Fascino Discreto della Borghesia" e "Quell'oscuro Oggetto del Desiderio" (1977) (questi 2, col senno di poi, sono da considerarsi come i testamenti finali di Buñuel), è qualcosa di unico e straordinario. Una incredibile striscia di grandissimi capolavori uno dietro l'altro, preferenze personali a parte, sempre senza calare di un solo millimetro in qualità, e tutti considerabili oggettivamente come pietre miliari. Non è un caso, forse, che uno dei protagonisti del primo citato della lista era Fernando Rey, che con quel "Viridiana" cominciò la sua collaborazione col regista spagnolo fino a diventarne l'attore feticcio e più rappresentativo, formando quella che è per me una delle più grandi coppie cinematografiche di sempre. La sua seconda prova fu, a distanza di 9 anni, in questo "Tristana", che ho lasciato per ultimo e di cui voglio appunto parlare in questa recensione.

"Che gran uomo Don Lope..."

Don Lope, interpretato appunto da Rey, è un rispettato e stimato uomo borghese di mezz'età. La giovane e stupenda Tristana (la divina Catherine Denueve alla seconda prova consecutiva con Buñuel dopo "Bella di Giorno") gli viene affidata dopo la morte della madre di quest'ultima, palesemente contro la volontà della ragazza che non può fare altro che sopportare passivamente. Da questo momento la situazione, in qualche modo, ricorda da vicino (pur con delle differenze sostanziali) proprio quella di Viridiana, con lo zio Don Jaire/Rey che cercava di convincere la nipote a sposarlo. In quel caso però la suora Viridiana lo respinse provocando il suicidio del parente. Tristana finisce invece per accettare di diventare l'amante del Don. Cova e nutre però un sentimento d'odio e rancore nei confronti del vecchio. Sogna la sua testa mozzata appesa ad una campana. Si sente in uno stato di forte oppressione. Don Lope è un personaggio che porta con se ogni ipocrisia e ogni contraddizione possibile. Si professa "difensore ad oltranza di tutti i deboli"- sviando un poliziotto alla rincorsa di un teppistello- facendosi contemporaneamente spudoratamente servire in casa. Si dischiara contro ogni vincolo matrimoniale in nome di una libertà assoluta: "Non senti l'odore dolciastro della felicità coniugale? Non hai notato l'espressione bovina di rasseganzione sulle loro facce annoiate? Addio amore...", ma quasi costringe Tristana a restare reclusa in casa per settimane. "La donna onesta tutto l'anno in casa resta". Quando Tristana comincia a vedersi (più o meno) di nascosto con il giovane e bel pittore Horacio (Franco Nero) arriva a minacciarla di morte. Ma Lope in realtà non è un violento. E' più semplicemente un triste, represso, passivo nulla facente e viziato.

"Il lavoro è una maledizione. Abbasso il lavoro! Che sì è costretti a fare per guadagnarsi la vita. Quel lavoro lì (riferendosi al lavoro di operaio che svolge il figlio sordomuto della badante) non nobilita come dicono alcuni, serve solo a riempire la pancia degli sporchi sfruttatori. Solamente quello che si fa per il proprio piacere, nobilita l'uomo. E magari tutti potessero lavorare in questo modo. Prendi me: io non lavorerei neanche morto, e come vedi, vivo male, ma vivo senza lavorare."

E' un anticlericale convinto, che non accetta preti nella sua casa. Per Tristana esprime un sentimento perverso, morboso e possessivo: "Sono tuo padre e tuo marito, e scelgo l'uno o l'altro a mio piacere." Ma in fondo, pur quanto si voglia malato, di sincero affetto. Fino ad accettarla di ritorno gravemente malata e a seguito del fallimento del rapporto con Horacio. Più si avvicina la fine del film, più alte sono la voglia e la curiosità di vedere come si conluda la vicenda aspettando un ennesimo finale ad effetto tipico dei film di Buñuel. Finale che sarà a tutti gli effetti degno di un capolavoro di questo calibro.

Traendo (come i grandi autori, liberamente) ispirazione da un celebre romanzo omonimo di Benito Perèz Galdòs, "Tristana" è un film che lascia profondamente colpiti ancora una volta. In primis quello che salta all'occhio è il dettaglio puramente estetico di una straordinaria qualità visiva, una fotografia e un colore eccezionali. Buñuel (come sempre, co-autore anche della sceneggiatura) ancora una volta esplora il lato più meschino, viscido e ipocrita di un borghese colto e rispettato al dì fuori ma dentro subdolo e aberrante come pochi. In questo senso quello di Don Lope si pone come il personaggio, a tratti, più squallido di tutti quelli interpretati da Rey diretto dal regista aragonese. Più del precedente Don Jaime, più adirittura (per quanto impensabile) del successivo ambasciatore di Miranda Rafael Acosta di "Il Fascino Discreto della Borghesia" o del frustrato e impotente Mathieu di "Quell'Oscuro Oggetto del Desiderio". Non si possono inoltre dimenticare i 2 personaggi di contorno rappresentati dalla badante Saturna e suo figlio sordomuto Saturno. Rey, di conseguenza, quì al suo top e la Denueve semplicemente mozzafiato, come sempre da par suo.

Ennesimo fondamentale capolavoro di questo autentico e unico genio che ha segnato come pochi la storia del cinema.

"Noi, nemici dell'ingiustizia, dell'ipocrisia e del Dio metallo"...come no.

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