deCostruzione_

Delirio onirico:cortometraggio avant-garde, 16m, b/n.Liebestod, Wagner. &cc.

TRAMA (focus su) una coppia in simbiosi grazie ad una violenta intesa sessuale.///////////immagini DADAiste\\\atemporalità <-- didascalie che fissano in un passato eterno momenti predeterminati.L'IMPORTA SURREALISTA ESALTA LA PROCLIVITÀ ANTICLERICALE E ANTIBORGHESE DEGLI SCENEGGIATORI.L'inquadratura iniziale è un primo piano (PP) di una mano che affila il rasoio nella coramella, seguito da uno stacco brusco su un gentiluomo con una sigaretta in bocca, quindi di nuovo il rasoio, la cui lama viene testata sull'unghia del gentiluomo. La coramella è posizionata sul pomello di una porta dal telaio di legno, che si scoprirà essere gittante sulla terrazza delimitata da una balaustra ferrigna dai dettagli arabeschi e ornata con una pianta. È notte, e il gentiluomo, che si affaccia dalla balaustra, alla quale è appoggiato con i polpastrelli delle mani, osserva meditativo la luna piena e bianca. Pare seccato, quando un ghigno arcigno gli distorce il volto. Una rapida parentesi sulla sua mano sinistra (quella che tiene quel che è rimasto della sigaretta, un mozzicone con ancora poco tabacco da fumare), che apre le palpebre di una donna in primissimo piano (PPP), una gentildonna dall'aria disturbata e impaurita com'è immaginabile sia quella di chi chi si deve sottoporre ad un intervento di odontoiatria e scorge, pochi istanti prima dell'anestesia totale, il carrello di acciaio inox su cui sono riposti arnesi dall'aria intimidatoria. Capelli raccolti. Guancia destra che sfiora la cravatta a righe oblique dell'uomo. Il rasoio viene alzato e posizionato parallelamente all'occhio della gentildonna, e per un istante la gentildonna si spoglia di quel suo turbamento. Una nuvola, sottile ed eterea, attraversa rapidamente la luna – flashback di quanto vedeva l'uomo prima dell'analessi, dunque il ritorno alla scena RASOIO/OCCHIO, un PPP del rasoio che squarcia la pupilla, facendovi fuoriuscire un liquido gelatinoso. Si dice che sia stato utilizzato un occhio di bue, ma la scena, che, carica di simbologie, sia evoca il lavoro tipico di un regista (l'attore che interpreta il gentiluomo è il regista stesso), il quale in fase di montaggio vede e taglia con senso critico parti del film, sia induce lo spettatore ad una visione totale di cose inaudite, il cui complemento di limitazione risiede nel dolore catartico del taglio della pupilla, la scena sortisce comunque il suo brutale effetto non tanto per il taglio in sé ma per ciò che pare abbia evocato questo gioco (la nuvola che si contrappone alla luna) e all'espressione della donna, non più crucciata quando i polpastrelli la toccano. La scena successiva, introdotta dalla didascalia HUIT ANS APRÈS e giocata su varie tecniche di ripresa, quasi a connotarsi come divertissment o puro artificio autoreferenziale, insegue un secondo uomo (vestito in modo anormale), intento a pedalare lungo una strada anonima: prima lo vediamo allontanarsi di spalle, poi un rapido scorcio da un angolo e un PP luminosissimo che anticipa la focalizzazione totale nell'uomo – la telecamera entra in metamorfosi con lui lo schermo si tramuta nel suo campo visivo. Ha uno strano aggeggio rettangolare agganciato al collo, giù a scendergli lungo il torace. Ripreso di spalle è come se nuotasse nel buio. Dissolvenza sulla fuga. Arrivato. la telecamera si sofferma sulla scatola, in fronte alla quale una minuscola serratura dorata cela; la scatola di legno ha una zigrinatura a linee trasversali, stucchevoli, di colori più caldi del ripiano. Il cambio di scena è claustrofobico. Una donna che legge. Seduta con le gambe accavallate in una stanza illuminata da una botta di luce bianca che inonda e bagna il pavimento. Il resto è nero. Nella stanza sono presenti i seguenti oggetti. Un letto a una piazza. Una lampada sopra un comodino. Il comodino. Un'altra sedia. Un tavolo. (Sul quale sono poggiati degli oggetti non meglio definiti.) L'arco umanizzato dalla donna è complicato da ferrame e legno in più dimensioni, e tutto sembra intersecarsi. Al centro della stanza, la luce – unico elemento naturale. Sul fondo, il letto, il cui angolo è in ombra. Il libro che sta leggendo è di dimensioni gargantuesche, rilegato. La donna è la stessa a cui il regista ha tagliato l'occhio, e la prima azione che compie è alzare appena appena la testa e inarcare le sopracciglia, corrugando la fronte, muovendo gli occhi nella direzione dell'occhio che prima era stato reciso: la telecamera a forma oculare inquadra l'uomo in bici. Di scatto, chiude il libro. E lo getta. La Merlettaia di Vermeer, che potenzia la femminilità da matrona che aveva già connotato la donna. I movimenti velocizzati di: lei che si alza, lei che va alla finestra, lei che scosta la tenda, lei che vede l'uomo cadere vicino alla porta. La donna pronuncia qualcosa di incomprensibile anche con la lettura del labiale. È infastidita dall'uomo? Lo maledice. Ma, quando scende, avendolo visto cadere, lo bacia su tutta la faccia. Si appropria della scatola a righe, la apre e vi trova la cravatta a righe che indossava il gentiluomo/regista della scena iniziale. Poi succede una cosa stranissima. Sul letto la donna, vestita pudicamente, ricrea cogli abiti la figura dell'uomo in bicicletta e vi si siede accanto, le mani giunte sulle ginocchia. Inquadratura del letto. Inquadratura del volto della donna. Un mucchio di aggettivi potrebbero fare al caso suo, così tanti che uno annullerebbe l'altro – semplicemente, è assorto. Uscita dalla sua atarassia, si accorge dell'uomo nella stanza. Un tipo glabro, scheletrito, che si osserva la mano di primo acchito senza nessun particolare motivo se non per qualche rotella fuori posto. Ma nella mano ci sono delle formiche nere e, in apprensione, gli si avvicina la donna, stupefatta alla vista del buco nella mano dell'uomo dal quale [buco] fuoriescono le formiche. I due si guardano e tornano a guardare... cosa? (Quest'immagine è frutto del sogno di uno dei due sceneggiatori, e l'impiegato lo sa perché ha studiato il film più e più volte, e sa benissimo che la scena successiva è un'analogia tra un'ascella pelosa – il che lo rimanda al tema sessuale – e un riccio di mare.) La mano, il buco o le formiche. Le formiche sembrano impazzite. In un'altra scena, al centro di un marciapiede, un androgino è circondato da una folla tenuta a bada da un solerte poliziotto, indaffarato a tenere a bada la folla nutrita e curiosa che vuole a tutti i costi osservare lo spettacolo di quest'androgino che tormenta col bastone la mano mozzata, la stessa che era invasa dalle formiche, che tutti vogliono vedere, e la riga dei suoi capelli è impomatata; una coppia si affaccia alla finestra e l'uomo indossa scarpe da donna. Nessuno crede a quello che sta vedendo, quando finalmente il poliziotto, dall'aspetto e dalla divisa simile al generale de Gaulle, con fare autorevole, finalmente il poliziotto non si presenta all'uomo (la faccia dell'uomo ha tratti femminei e le labbra hanno il rossetto), e gli parla e gli ruba la mano, disperdendo la folla. L'androgino non è turbato, ma guarda con compassione e distacco il dissiparsi di tutto ciò [che aveva creato]. Resta solo in mezzo alla strada, la musica si carica, le auto scorrono, la coppia continua a osservare il tutto dalla finestra, soffermandosi prima sulla scatola, che l'androgino tiene in mano e poi sull'auto che lo investe, l'androgino. L'uomo della coppia richiude la tenda e si volta verso la ragazza. Le strizza i seni. Lei si scosta. Lui le si fa avanti con aria minacciosa, come colto da un raptus o posseduto. Lo sguardo torvo e famelico. Che sia stato attizzato dall'androgino sofferente? E comunque la donna resta quella dell'occhio di vitello. Il tango fa da cornice alla tentata fuga della donna e alle continue riprese dell'uomo, quasi che lo stupro si muovesse a passo di danza. Un'altra strizzatina. La donna indignata, supplichevole... si arrende, e l'uomo le accarezza il petto, mantenendo le mani sopra il vestito. Gli cola bava dal mento, mentre con fugaci fotogrammi viene mostrato la nudità che il vestito ricopre – seni e natiche – e l'uomo è stupito, ha il grugno contorto in un urlo d'orgasmo fatale e al contempo demoniaco, finché la donna non lo respinge e scappa. Scappa per la stanza, rifugiandosi in un angolo. (AUTODIFESA: nella parete accanto, c'è la racchetta che lei userà come arma impropria.) L'uomo in un primo tempo desiste, ma ci ripensa e incede con la sua solita aria perversa verso la donna. Solo che sembra stanco, sembra non farcela: la vista dei seni che si alzano e abbassano in linea col respiro affannoso della donna gli dà la grinta necessaria per avvicinarsi a lei dopo essersi fatto carico sulle spalle di due corde, alle estremità anteriore delle quali le tavole dei Dieci Comandamenti, a quelle posteriori due pianoforti. Sui pianoforti sono posizionate delle carcasse marcescenti di asini, due in totale. I bulbi oculari degli asini sono assenti nelle orbite, riempite con della cera. Legati sono pure due preti, in contrasto col clima erotico della vicenda ma perfetti per una scena di stupro (anche se, in questo caso, la potenziale vittima è maggiorenne). Per pochi fotogrammi, un prete viene interpretato non da un attore ma dallo sceneggiatore. Intanto che l'uomo, a fatica, si avvicina, la donna scappa da una porta senza uscita che la donna schiaccia sul braccio del potenziale violentatore che s'affanna e grida il suo dolore alle orecchie della donna assordate dal dolore dell'uomo. I preti indossano un copricapo a mo' di padri pellegrini. Il dolore al braccio dev'essere straziante quanto lo è la paura della donna, che raggiunge l'apice nel vedere la mano dell'uomo, l'unica parte che è riuscita ad oltrepassare la porta, coperta di formiche nere. Che escono da un buco. Mentre la mano si contorce in preda all'agonia. La donna ricorda l'uomo disteso sul letto, malato. C'è uno stacco rapidissimo sul ricordo in questione, poi si ritorna alla donna, la quale si illumina (metaforicamente), poi di nuovo al volto dell'uomo che si guarda intorno, smarrito, ma che anche ride beffardo e goliardico come il malvagio gabbato. Al malato, fa visita un uomo. Il nuovo arrivato, vestito di tutto punto, suona il campanello (una breve immagine mostra due mani shakerare uno shaker, rinviando così al suono del campanello) e il malato si volta in direzione dell'entrata. (Ancora lo shaker.) Ma è la donna che va ad aprire. L'uomo fa letteralmente irruzione nella camera da letto, scagliandosi, minaccioso, contro il malato, che sul petto – si scopre – tiene la scatola dalle linee orizzontali. Il malato è in difficoltà. Ciò è intellegibile nel suo sguardo perso, non di chi è impaurito ma di chi non capisce: l'uomo che ha davanti è identico a lui, ed ora lo sta scrollando ed ora gli strappa la scatola ed ora lo fa alzare dal letto e – cosa fa? - lo spoglia, e butta i suoi accessori dalla finestra. Il predatore che si trasforma in vittima. L'alter-ego indica la parete alla quale è appesa la racchetta e l'uomo segue la direzione, in castigo; l'alter-ego si toglie il cappello, dunque se ne esce e [INDICAZIONE TEMPORALE] torna indietro, consegna al malato due libri che diventano pistole che ammazzano sull'uscio l'alter-ego. Ma l'uomo non muore in una stanza, ma in un prato mentre cerca di aggrapparsi alla schiena una della solita donna. Accorrono varie genti, esaminano il cadavere e, trasmutandosi in un carro funebre di fortuna, fanno uscire l'alter-ego di scena. La musica torna al tango di poco fa. La protagonista si trova davanti alla Acherontia atropos, una falena meglio nota come sfinge testa di morto per il teschio che ha disegnato sulla schiena grazie alle opere narrative che vi hanno fatto riferimento, non ultime il racconto di Poe (La Sfinge), Le Intermittenze della Morte di Josè Saramago e la locandina/copertina de Il Silenzio degli Innocenti. Un focus stile lente d'ingrandimento sul teschio e ancora un indugio sull'Acherontia atropos, fino a quando la protagonista dai seni prosperosi non si ritrova davanti al suo assalitore, che improvvisamente sgrana gli occhi e si porta la mano davanti alla bocca che non ha più. Beffarda, lei rinnova il rossetto sulle proprie labbra carnose. Al posto della bocca, spuntano in un attimo i peli ascellari che erano stati accostati e paragonati al riccio di mare, e la donna è esterrefatta non tanto per per l'alchimia quanto per la scoperta della sparizione dei propri peli ascellari. Lo sgrida. Si mette una sciarpa. Gli fa uno sberleffo. E si chiude la porta alle spalle, ma non prima di averla socchiusa e avergli fatto altri due sberleffi. Il vento le scosta la sciarpa setosa, che con la mano lei riesce a ricondurre lungo la linea mediana tra i seni. C'è vento, perché sono in spiaggia. Davanti a lei un uomo osserva il mare. Lei lo saluta, felicissima, e gli corre incontro. L'uomo – che lo stesso di sempre, cioè il malato e il suo alter-ego, l'assalitore etc. – è vestito come un pirla, con dei pantaloni alla zuava e la felpa a mezzemaniche da completo sfigato. Sembra intontito, quando lei le corre incontro, cosa di cui lei non si cura. Anzi le corre incontro e si aggrappa al suo braccio. La testa dell'uomo si gira dall'altra parte. Nella vita reale l'attore che interpreta quell'uomo si suiciderà pochi mesi dopo la fine delle riprese. Le porge la mano chiusa a pugno, ma lei la distende giù e gli sorride, sensuale, con quelle labbra di rossetto nuovo e dolce: fanno pace e si baciano, allontanandosi a braccetto dalla scena, poi andando incontro all'obbiettivo, che ora esamina i loro piedi su ciottoli, scogli, conchiglia, immondizia, sabbia. La scena finale, anticipata dalla didascalia AU PRINTEMPS, li mostra troppo distanti per sfiorarsi, sepolti fino al petto nella sabbia della spiaggia.
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