Dopo aver ascoltato "Chicago, Detroit, Redruth", se si è animati da un minimo di coscienza critica, non si può fare altro che prendere atto di come Luke Vibert abbia composto un lavoro decisamente al di sotto delle proprie possibilità e, soprattutto, brutto!

Qui non serve tirare in ballo le frequentazioni con Aphex Twin, gli innumerevoli dischi pubblicati (sotto una quantitativo elevato di denominazioni differenti), i giusti riconoscimenti e i meriti che gli sono stati tributati per quanto di onestamente buono ha saputo fare in passato, perché le dodici canzoni sono quanto di più anonimo il sottoscritto abbia ascoltato nell'anno in corso (forse solo l'ultimo album dei Chemical Brothers è peggiore). La scelta di mescolare e accostare periodi sonori lontani nel tempo, pur se affini per suoni elettronici proposti (dance, soft drum'n'bass, electro, downtempo, acid, ecc.) e con un comune feeling vintage, ha dato risultati pessimi e senza considerare che in certi pezzi emerge un sentore fusion, che fa rabbrividire.

Consideratelo un esperimento andato a male o un passo falso, ma statene alla larga, perché è si tratta di una "sola" bella e buona.

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