Provengono dalla Danimarca i Lulu Rouge, progetto di sicuro avvenire se pensiamo al folgorante esordio Bless You (2008), una delle uscite più interessanti degli ultimi anni. Spalleggiati dall'ormai celebre connazionale Trentemøller (la sua mano si sente eccome) il duo di Copenaghen ha saputo concepire un notevole ibrido tra la minimal techno più atmosferica e riverberata (per l'appunto molto vicina a quella di The Last Resort), il trip hop anni novanta, passando per influenze dub e psichedeliche, il tutto racchiuso in un suggestivo contorno dalle tinte dark, rappresentato ottimamente dalla drammatica copertina.
Dj Tom e Buda si muovono tra synth alienanti, ritmi rigorosamente in 4/4, e vocal avvolgenti sepolti sotto un massiccio uso di riverberi, delays e dissonanze che ben si amalgamano con i kick secchi tipicamente techno e le pulsanti bassline, soprattutto tb303 o low dubbosi. Il convivere di questi elementi contribuisce a creare un atmosfera tetra, ma al tempo stesso onirica e viaggiosa (si puo facilmente notare nella titletrack), che va a forgiare un disco dai toni lenti e mentali che quasi mai supera la soglia dei 120 bpm, avvicinandosi spesso e volentieri a territori ambient/chill out nordeuropei ("Slow Pigeon"), trip hop ("End Of The Century" ricorda non poco i Massive di Inertia Creeps) o alla deep house più ombrosa ("Sweeter Than Sweet"), senza comunque, ed è bene sottolinearlo, mai rientrare nei clichè di quest'ultimi.
Tra i vocalist, che svolgono un ruolo essenziale, spiccano la svedese Alice Carreri, in più di un occasione vero e proprio valore aggiunto del progetto, e il danese Mikael Simpson, che aiutano a plasmare con interpretazioni di qualità le 10 tracce, tutte validissime, e adatte sia al contesto pista che all'ascolto.
L'effettistica è molto curata, gli arrangiamenti stratificati e psichedelici per gli standard del genere, molte le acrobazie tecniche, soprattutto su vocal e groove. La varietà non manca: si spazia dagli archi di "Melankoli" con quel battito pulsante su cui si posa alla perfezione il cantato ipnotico di Alice, ai suoni quasi industrial di "Lulu's Theme", (strumentale dal sound minaccioso, con l'apporto di un Trentemøller molto ispirato) e la lentissima "Thinking Of You", (dagli accompagnamenti quasi gothic arricchiti da numerosi glitches e da una spettacolare pausa di violino). Originali gli elementi dub di "Pitch Black" e "Runaway Boy", dove trovano spazio anche insoliti inserti folk, come il soporifero riff di fisarmonica. Ma è soltanto una delle tante interessanti idee dell'album: si incontrano infatti anche mantra tibetani e didgeridoo, che pur essendo inseriti in contesti all'apparenza poco opportuni non rischiano mai di apparire fuori luogo.
Questa tendenza all'associare in più di un occasione cose opposte la illustra chiaramente la stupenda "Ninna Nanna", episodio come prevedibile cantato in italiano (e anche piuttosto pulito da una Carreri ancora una volta in gran spolvero), che riprende la nota filastrocca mutandone l'anima allegra e fanciullesca in un geniale crescendo dark dall'atmosfera decadente e narcotica. Sicuramente il punto più interessante del lavoro, anche se risulta veramente arduo trovare punti deboli in questi 50 minuti cosi perfetti.
Si tratta di un disco veramente riuscito e rivoluzionario, a tratti geniale. Un gioiello a cui prestare la dovuta attenzione e che conferma ancora una volta come il panorama elettronico scandinavo si confermi degno di nota. A questo punto non resta che aspettarne il follow up.
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