Per un gruppo heavy metal è spesso difficile riuscire a combinare un sentimento come la dolcezza a sezioni ritmiche abituate a volare alla velocità della luce su tempi scanditi da doppie casse impazzite e riff al fulmicotone. Come sempre accade, per fortuna, c’è però qualche eccezione che conferma la regola; i Lunatica sono una di queste.

 

Discostandosi dalla formula poco personale adottata con il precedente “Fables & dreams” del 2004, il six-piece elvetico ritorna nel 2006 con “The edge of infinity”, album sul quale l’accoppiata Sascha Paet-Miro, a volte brava nel produrre lavori sinfonici, altre volte autrice di cadute di stile alquanto irritanti (vogliamo ricordare gli ultimi ambiziosi e malriusciti progetti di Luca Turilli?), ha posto le mani in sede di produzione. Il risultato, sebbene ad un primo ascolto possa risultare spiazzante, è per una volta alquanto piacevole ed originale rispetto agli standard della scena sinfonica. La formula del power metal orchestrale tanto celebre e saccheggiata negli ultimi anni è infatti stata alleggerita a favore di melodie ariose, quasi sempre esasperate ed al limite del pop più romantico e raffinato.

 

La bellezza di questo disco sta proprio nella capacità di esulare dai soliti cliché di lunghi episodi narranti epiche saghe (di valorosi guerrieri, draghi sputafuoco e damigelle impaurite non se ne può veramente più), attraverso un sound dal quale ogni tentativo d’eccessività è stato dissipato, grazie all’animo di questi musicisti completamente votati alla melodia più colta, ma non per questo esoterica come quella dei colleghi dediti al gothic metal (non vi è infatti la minima parvenza dell’influenza di questo stile). Ciò che si respira all’interno di “The edge of infinity” è un’aria profumata, intrisa di una dolcezza che non ha pari e non scade mai nel melodrammatico o nella mielosità. La vera punta di diamante di questo gentile e pacato modus operandi sono le incantate e cristalline note del tastierista Alex Seibert e gli arrangiamenti (ora sinfonici, ora pop) che regalano ad ogni canzone il giusto piglio cinematografico (senza però risultare invadenti come negli album di Rhapsody Of Fire e band simili), ai quali va ad aggiungersi una delicatissima e superba vocalist che risponde al nome di Andrea Dätwyler, che dalle proprie corde vocali esala la più rosea ed innocente purezza. A volte penso che i Lunatica sarebbero le persone più adatte a scrivere un concept album sull’Isola che non c’è o sulla Storia Infinita; le atmosfere di questi mondi lontani, di queste storie fatate sembrano sposarsi perfettamente alla caratura magica ed emozionale della proposta della band svizzera.

 

Non pensate tuttavia di trovarvi di fronte ad una becera proposta pop travestita da metallo pesante. I due mondi musicali citati riescono a convivere alla perfezione negli episodi migliori, mentre in altri si distaccano per dar vita a canzoni apprezzabili nel contesto generale ma non entusiasmanti come le altre. Tra queste è il caso di citare la titletrack, simile ad una versione un po’ smorta e senza grinta degli americani Kamelot, posta in apertura forse per non spaventare i defenders più incalliti (i quali, lo dico subito, non potranno tuttavia amare questo lp). Lo stesso discorso va fatto per la quarta traccia “Who you are”, praticamente una canzone in pieno stile Britney Spears degli esordi (quella con i codini e la divisa da scolaretta) alla quale sono state aggiunte le chitarre elettriche nel ritornello. Dietro a quest’insolita operazione scorgiamo il nome di due noti produttori in ambito pop, Carl Falk e Sebastian Thott (che, guarda caso, hanno lanciato stelline del calibro di Britney Spears e Westlife). Un pizzico di orecchiabilità non guasta, si può anche apprezzare, ma questo è un po’ troppo per i miei gusti… In fin dei conti che bisogno c’era di un momento così banale tra tanti highlight emotivi?

 

Le cose vanno decisamente meglio quando la band si butta a capofitto negli schemi ad essa più consoni delle semi-ballad, ricorrendo (stavolta) anche a collaborazioni di tutto rispetto. A duettare con la cristallina ugola di Andrea troviamo John Payne (ex singer degli Asia) che dona un pathos incredibile a “Song for you”. Nella lunga ed ultramelodica “Emocean”, il brano più bello del platter (da brivido il suo finale incalzante ed orchestrale), troviamo invece Oliver Hartmann, un’altro egregio ospite in grado di dare quel qualcosa in più alla musica dei Lunatica (sarebbe bello se, in futuro, quella dei duetti diventasse una costante del sound del gruppo).

 
“The edge of infinity” non potrà che far storcere il naso a quei metallari dalla mentalità chiusa, portavoce di una durezza d’animo a volte puramente di facciata, più necessaria per apparire alternativi che per essere veri fan della musica più emozionale. Per gli altri, a prescindere da alcune evidenti trovate mainstream, la possibilità di sognare è stata garantita con semplicità ed onestà. Perché lasciarsi sfuggire una simile occasione?

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