E' da un po' di tempo che avevo in mente di recensire Juggernaut, altro nebbioso capitolo della lunga discografia di quel genio del dark ambient che risponde al nome di Brian Williams, ma che ormai viene conosciuto con il monicker Lustmord. Questa mia voglia di portare sul sito codesto album, è stata più volte intaccata dalla necessità di riascoltare più e più volte Juggernaut. Non tanto per la sua complessità (Lustmord ha saputo creare cose molto più impegnative), quanto per il suo valore effettivo: dopo i due splendidi "Carbon/Core" (2004) e "Rising" (2006), Williams ha purtroppo iniziato un lento cammino declinante che lo ha portato a lavori controversi, "Other" su tutti. Proprio tra le sue ultime produzioni, Juggernaut (2007), mi sembrava quella meglio riuscita, ma a seguito di numerosi ascolti, anche questo cd mi ha dato la sensazione della difficoltà artistica contro cui è andato a sbattere questo pazzo creatore di scenari orrorifici.
Per il parto di Juggernaut, Brian Williams, decise di chiamare al suo cospetto Buzz Osbourne, mastermind dei Melvins, band che aveva già collaborato con Lustmord in "Pigs of the roman empire" (2004). La figura di Buzz entra prepotentemente nelle pieghe del cd, tanto che la sua presenza sembra a volte offuscare il lavoro sempre enigmatico di Williams. La componente elettrica predomina su quella "atmosferica", tanto che alla fine dei conti, Juggernaut risulta un disco addirittura assimilabile. Manca l'oscurità di "Heresy", manca quella sensazione infinita presente nel capolavoro "The place where the black stars hang", manca la corposità sonora di "Metavoid". Mancano insomma, quelle caratteristiche mistiche e profondamente "oscure" che caratterizzavano tutta la produzione di Williams fino alla pubblicazione di Juggernaut.
Ma sebbene aleggi questa innegabile vacuità di fondo che non rende Juggernaut un album propriamente "lustmordiano", il caro vecchio Brian, riesce ancora a dire la sua nei momenti in cui la presenza di Osbourne è meno palese. Sia l'iniziale "Erie", che la conclusiva "Item", ci sottopongono a un difficile viaggio tra le paure umane, dove l'oscurità è pressochè totale. Aleggia il mistero e un senso di isolamento che rende davvero bene l'idea di cosa sia il dark ambient. Meno incisive sono le due lunghissime "Prime" e "Able" affidate in buona parte a quell'altra mente malata di Buzz: anch'esse alienanti e abrasive, ma poco varie, troppo simili tra loro e in alcuni frangenti anche fastidiosamente ripetitive.
Tracciando quindi un giudizio finale con la consapevolezza che ascoltare Lustmord non è come ascoltare i Lunapop, non ci si può che soffermare sulla pochezza delle varianti di Williams: Juggernaut pur con fatica riesce a guadagnarsi la pagnotta, ma è tutto il percorso lustmordiano nella sua ultima fase che non convince. Un percorso che inizia a zigzagare proprio da questo cd.
Quanto era necessaria quell'eresia...
1. "Erie" (4:48)
2. "Prime" (12:03)
3. "Able" (11:53)
4. "Item" (11:25)
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