Io invidio Lustmord. Lo invidio, perchè non sarei capace di comporre la musica che fa lui senza cagarmi addosso ogni trenta secondi per la paura. Beh, ma chi mi dice che lo stesso Lusty non provi un gran fifa nel tessere il terrore in ogni suo disco? Provo ad immaginarmelo seduto davanti ad un enigmatico marchingegno tappezzato di tasti, lettere, leve, spie e schermi d'ogni sorta, immerso nell'oscurità e nel silenzio, solo con se stesso e con un'abbondante scorta di rotoli di carta igienica (Foxy, almeno è profumata) ad affiancarlo nell'impresa. No, non ce lo vedo. Lui non ha bisogno di carta igienica. Lui non prova paura perchè la conosce più delle sue tasche, e la plasma e la modula e la filtra come se fosse una sua stessa creazione.

Ecco perchè, album dopo album, il caro Brian Williams (ma allora questo essere ha un nome!) riesce a sublimare il sentimento più istintivo e primordiale degli esseri viventi attraverso i paradigmi dell’ambient. Difatti è proprio ciò che uno deve, per forza di cose, aspettarsi all’uscita di ogni suo disco. Non ti sei cagato sotto per la paura? Allora non è un album di Lustmord, oppure Lustmord ha perso la sua vena creativa. Pannolone o meno, risulta chiaro che nel modo di concepire la musica di questo losco individuo non si scende a compromessi per nulla al mondo: o fai un respiro profondo e ti ci butti a capofitto fregandotene delle aspettative, oppure te ne stai alla larga.

Tutto questo ampio preambolo l’ho scritto per inquadrare globalmente il lavoro qui recensito, “Rising”, registrato in sede live il 6 giugno 2006. “Rising” prenderà la forma delle vostre peggiori paure: sarà il grosso ragno peloso che si annida sotto il vostro letto, sarà il temporale che infuria mentre voi siete in casa da soli, sarà il vuoto insonne dell’oblìo e sarà anche vostra suocera. È bene saperlo cogliere nella sua totalità, dal momento che ogni brano è legato agli altri da un filo logico quasi impercettibile; i cambi di atmosfera non si fanno in alcun caso repentini, ma i passaggi da un brano all’altro sono fondamentali per tenere le redini dello sviluppo complessivo. L’organicità è quindi, come sempre, il punto focale che rende il lavoro completo e quantomeno comprensibile.

Se dovessi citare gli episodi più significativi per la riuscita dell’album, questi sono “Decompression”, “Lust”, “Congregants Request 2”, e “Benediction”. È scontato dire che, in tali tracce, oscurità ed inquietudine regnano sovrane in ogni risvolto, ma è sorprendente sentire come Lustmord le manipoli con fantasia e macabro ingegno, manco fosse alle prese con un enorme ammasso di pongo. Le sonorità si fanno viscide e strascicate, improvvisamente impennano e divengono sacrali e contemplative, per poi ammalarsi nel vuoto abissale di corni tibetani, gong e ringhi di dubbia provenienza, senza tralasciare i soffocanti e tormentati passaggi di quiete catatonica.

“Rising” non ha pretese né obiettivi; sta lì dov’è, rannicchiato nell’ombra, in attesa di qualcuno che lo apra, che lo colga e che lo viva in ogni respiro pulsante. Carta igienica permettendo.

Hai paura? No? Non importa. Ne avrai.

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