Nel 1981 la Regina Siamese lasciò il suo trono per incamminarsi su una strada buia senza ritorno e senza speranza. Da Sacerdotessa dell'Anti-Suono per antonomasia, aveva già sacrificato sull'altare del Rock'n'Roll tutti i Miti possibili. Non restava altro all'infuori del Nulla totale: sprofondare in un buco nero di indistinti spazi senza tempo, senza neanche più i resti e le carcasse di quei Miti.
I Teenage Jesus & The Jerks erano stati il boato, la deflagrazione, il disastro atomico. Di quel che c'era prima non restava nemmeno il ricordo: via Patti Smith, via il Punk, via Rimbaud, via Verlaine (in entrambi i sensi possibili: Poeta e Chitarrista...). Via la fiamma di "Horses" e il furore dionisiaco di "Radio Ethiopia", via anche gli ultimi rantoli di vita di un '77 ormai lontano un milione di chilometri e (in barba al tempo realmente trascorso) almeno altrettanti anni. Largo agli incubi, alla morte, al sonno senza risveglio.
Sua Altezza Lydia afferma oggi di provare orrore per quel corpo privo d'anima e sentimenti che era la LEI di allora. E in bocca a Chi ha cantato l'orrore (e ne ha scritto) in tutte le sue deviazioni, la cosa ha un suo significato. Ma quei primi anni '80 riservarono qualcosa di ancora più spaventoso della Lydia-No Wave, quella che New York aveva scoperto nelle esplosioni da un minuto dei "Gesù adolescente". Ovvero: il suo lato più disumano, l'indifferenza raggelante di chi guarda quell'orrore in faccia e lo recita con l'apatia spietata di un mostro.
Per questo, "13.13" è un Album TERRIFICANTE nel senso più alto del termine. I sintomi che posono accompagnarne il primo ascolto sono nausea, disgusto, sofferenza estrema. E un rivoltante senso di soffocamento. Il mostro si esprime nel linguaggio di una nenia straniante e dilatata, nei suoni deformi di un lungo trascinarsi in un tunnel senza uscita né luci. Tutto nero, tutto maledettamente disanimato. Incurabile cronico malessere.
Prese "forma" in California, questo disco. Quasi a rimarcare la distanza che lo separava dai giorni newyorkesi e l'ingresso in un nuovo - asettico - ambiente. Sul cui sfondo s'intuisce, vago, il profilo di un'altra REGINA del Buio: Siouxsie. E infatti, in "13.13" c'è forse più Inghilterra (eloquente il suono della chitarra) che America. E Berlino, anche: nella raccapricciante (fin dal titolo) e gelida parentesi pianistica di "Dance Of The Dead Children" risuona già, con largo anticipo, il lato più mortifero dei futuri Bad Seeds. Ma al culto pagano della bambola Sioux e all'Elvis profanato che fu l'ossessione di Re Inchiostro si sostituisce un nichilismo cosmico che non ammette simboli né feticci. Un'ossessiva cappa di negatività totale.
"Nothing to do or say".
Niente.
Se non ascoltare la mente esplodere e affacciarsi sul baratro di "Stares To Nowhere", o piuttosto lasciar che le orecchie risuonino del battito d'un basso raramente tanto cupo e sinistro - quello di Greg Williams in "3x3". Sforzarsi di urlare ma non trovare la lingua ("This Side Of Nowhere"), cercare un modo per uscire nella consapevolezza di essere già stati murati vivi. Sentimenti azzerati e polverizzati, persino l'amore trasformato in violenza che umilia e seppellisce ogni giorno di più ("Snakepit Breakdown"). E fantasmi che popolano la mezzanotte di "Suicide Ocean", evocati proprio da Chi (Lydia, il mostro) dei SUICIDE era stata la figlia adottiva e col Suicidio dialogava ad ogni ora. Riservandosi del tempo per piangere lacrime di sangue presto evaporate e spazzate via come cenere dopo il fuoco ("Lock Your Door", sopra un drumming rubato da Cliff Martinez a "Come Together") e aspettare che l'orrore divampi, infine, bestiale e incontrollato ("Afraid Of Your Company", un sigillo - o una pietra tombale...?).
"I could close my eyes and sleep forever,
locked inside this secret silence..."
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