Figura controversa ed emblematica della no-wave, (quel movimento di fine anni 70-inizio 80 che era un pò l'estremizzazione del punk, una sorta di elogio del rumore), Lydia Lunch debuttò da solista con questo "Queen Of Siam", dopo aver militato negli storici "Teenage Jesus". Portatrice di un'angoscia latente, di una perenne insoddisfazione ma soprattutto di messaggi sessuali più o meno espliciti, Lydia riversa in queste musiche tutto il suo ego da ragazzina impertinente. L' album è realizzato in collaborazione con l' orchestra di Billy Van Der Plank e sotto la supervisione di Pat Irwin, che suona tutte le parti di sax. Ne viene fuori un lavoro originalissimo,composto da cover e pezzi originali, senza un minimo di coerenza musicale, che abbraccia più generi senza mai prenderne uno definitivamente.

Si parte con la cantilena annoiata di "Mechanical Flattery", sottolineata da pochi colpi di batteria a da un piano sonnolento. Lydia canta svogliata, sembra messa lì costretta con la forza. La traccia successiva è la splendida "Gloomy Sunday", arrangiata con un piano dolente ed un sax vellutatissimo. Meravigliosamente angosciante. L' orecchiabile "Spooky" ci mostra una Lunch che sembra la versione sofisticata e decadente di Madonna. Si cambia ancora, ecco il flamenco ubriaco di "Los Banditos", e via nella successiva, irresistibile nenia disco (!) di "Atomic Bangos", un vortice di batteria martellante al limite della paranoia. Altro travestimento: Lydia si fa intrattenitrice da night club in volluttuoso abito da sera e canta "Lady Scarface", un blues fumoso con tanto di tromba e piano sghangherato. E che dire di "Carnival Fat Man"? Risate sadiche, strumenti scordati, un cabaret grottesco e allucinato, da incubo. Piccolo capolavoro.

Come avrete capito ci troviamo dinnanzi ad uno di quegli album di "culto" della storia del rock. Un lavoro particolare e di grande personalità, che incorpora più generi, li graffia, li abbruttisce e poi li getta via.

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