Vero è che passa circa un minuto e venti, prima che Ronnie cominci a cantare. E in quel minuto e venti le chitarre abbagliano al punto che resta difficile concentrarsi sulle parole, quando queste arrivano. Ma si può fare un tentativo. Lasciate che la musica scorra. Aspettate quel momento e ascoltate bene cosa dice il testo. Basterebbe la prima frase.

Papà mi disse ‘Sii forte, figlio mio, e non piangere’.

Papà.

Ma come. Un attimo.

Ci avevano detto che i rockers erano quelli ribelli, quelli che spero di morire prima di diventare vecchio, quelli che al diavolo la generazione dei vecchi. E adesso sento qualcuno (che rocker lo era per davvero, e chi mai direbbe il contrario) tirare in ballo suo papà, e non per mandarlo al diavolo. Ricordando quel che una volta il papà gli disse, quando ancora a Ronnie non era spuntata la barba.

Ma suona strano fino a un certo punto. Oltre quel punto, tutto comincia a suonare più familiare.

Chi non ricorda ‘Simple Man’?

Lì era la mamma, che prendeva a sé Ronnie. Gli diceva ‘vieni qui un attimo, siediti accanto a me. Ho qualcosa da dirti’. Cioè, da insegnarti. E un giorno, quest’insegnamento lo troverai utile.

Un Mick Jagger non avrebbe mai cantato nulla del genere.

E infatti, mai l’ha cantato. Quando si è sforzato di fare il tenero, più spesso è suonato ruffiano. O gli è riuscito di fare il marpione, oppure si è buttato sul romantico tirando fuori quella melassa che spesso ci ha propinato, dal falsetto di ‘Fool to Cry’ in avanti. Mamma e papà no, però. E che diamine. Quelli, lasciamoli dove sono (e 'Mother's Little Helper' non fa testo, per ovvi motivi). Va bene fare i teneri, ma mamma e papà col rock’n’roll non ci vanno d’accordo.

Certo, ci sarebbe da ridire sul fatto che canzoni come ‘Fool to Cry’ e ‘Memory Motel’ (due nomi due) abbiano davvero a che fare col rock’n’roll, ma non è questo il punto. Quello (il punto) l’avrete già afferrato. O spero.

Ronnie Van Zant non aveva bisogno di fare il tenero, non era quello il suo intento. E nemmeno intendeva farvi pensare a scenari da Casa nella prateria o, che so, a Le sorelle MacLeod o a certe cose (ammmericane) tenere con sviolinate e note lacrimose in sottofondo. Quel genere di cose. Della serie: preparate i fazzoletti (se fate in tempo e se li avete a portata di mano). Che tanto qualcuno muore sempre, e se poi si tratta del cavallo peggio mi sento.

Fra parentesi: non ho mai visto una puntata de Le sorelle McLeod (che mi dicono essere australiane e non americane) e non so nemmeno che faccia abbiano ‘ste sorelle e in quante siano, ma ho sempre avuto il presentimento di una di quelle cose in cui muore qualcuno e poi si piange. E se poi fosse proprio il cavallo? No, non ce la farei mai.

Ma nella mitologia sudista (che è mito per noi, ma per Ronnie Van Zant era un tutt’uno fra mito e ricordi d’infanzia; e questo ce lo scordiamo spesso) c’è sempre, quel momento; quello del genitore che prende un attimo il figlio da parte, e gli dice una verità. Che col tempo il figlio scoprirà essere tale.

In fondo, loro ci sono già passati: i vecchi avevano previsto tutto, i vecchi l’hanno sempre saputo, i vecchi avevano ragione. E adesso, solo adesso, me ne rendo conto. Di quanto era vero.

Il blues (vero) di ‘I Never Dreamed’ è tutto qui: non è disperazione, demoni, nichilismo. E’ solo come si resta quando si scoprono la solitudine e l’abbandono per quel che sono davvero. Il vuoto. E’ il… ", ne avevo sentito parlare (da mamma o papà), ma non pensavo fosse davvero così".

Non me lo sarei mai aspettato.

Oltre le chitarre, oltre ‘Sweet Home Alabama”, oltre quelli che “il Southern è sempre la stessa retorica + la solita solfa-boogie”, io il Southern lo spiegherei così. Se volete.

E' whiskey e amplificatori urlanti, ma a volte è questo blues di un qualcosa che incombe e che spesso arriva all'improvviso. Quando arriva, fa male. Mi credevo così forte, e invece ecco.

La mamma gliel’aveva detto, a Ronnie. Non vivere troppo “al massimo”, accontentati. Ché poi arrivano i momenti brutti. Senza contare il destino, che ha il vizio di mettersi di mezzo.

E la retorica, dov'è?

I Lynyrd Skynyrd (i veri, cioè gli unici) finiscono qui, senza sapere di comporre il proprio epitaffio. O forse, qualcosa avevano intuito?

In trentasei minuti scarsi (alla faccia della prolissità), 'Street Survivors' fa un sunto perfetto di cosa sia il rock’n’roll. Ma a parte le fiamme in copertina (e ognuno si lasci andare ai pensieri che preferisce...), più di una volta riaffiora questo qualcosa che incombe.

'That Smell' è una canzone che puzza di morte, oltre che di cocaina. Dicono che Ronnie scrisse quel testo perché si sentiva qualcosa, aveva un presentimento. "Dici che domani andrà tutto a posto, ma il domani potrebbe non essere qui per te". Retorico anche questo?

Come ci può essere retorica, quando la realtà supera la sceneggiatura del miglior film. Pensate ad Allen Collins, e a tutto quello che gli è capitato da quel 20 ottobre '77 al 1990. Facile suggestionarsi, con parole come "maledizione". Eppure la Morte, che non riuscì a prenderlo su quel volo, non ha avuto pace (e non gli ha dato pace) finché non è tornata a saldare il conto.

A La casa nella prateria non sentirete mai raccontare storie come questa.

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