Una bambina di 2 anni, forse meno, sembra edera mentre si attorciglia per tentare di afferrare una maniglia posta troppo in alto. Una smorfia tenera ed inutile al padre che, per il freddo, non la può accontentare. E allora sfocia un pianto cascata che inonda il locale. Il gigante non capisce che per lei è fondamentale uscire e aprire quella porta. Adesso. Un ragazzino, alto come 4 fusti di birra impilati, è al videogioco. Senza crediti pigia i tasti apparentemente a caso, ma è un pessimo attore. Si sofferma tra un’occhiata furtiva e l’altra sul gioco delle differenze al touch screen che immortala ammiccanti e succinte zoccolone. Cazzo, penso tra me e me mentre affondo un altro sorso, io a 8 anni pensavo al Commodore 64! Una coppietta nuova di zecca è miele e caramello: lo sguardo di lui potrebbe mettere incinta lei. Quattro motociclisti elefantiaci, in barba ai loro 50 anni, mostrano spavaldi i loro giubbotti vissuti e senza maniche che danno spazio ai tatuaggi spacconi. Con grandi passi di stivale, e con un vociare roboante, rompono tutto l’equilibrio della scena mandando in frantumi le fantasie del ragazzino che sarebbe rimasto lì per ore, l’atmosfera romantica dei due piccioncini. Non paghi, i 4 spalancano la porta dalla quale sgattaiola subito la bimba rincorsa immediatamente dal gigante buono.
E’ una fase fortemente egoistica, quella nella quale mi trovo. So che non potrà durare in eterno, lo spero almeno, perché di anno in anno diverrà sempre più dura da accettare e patetica da vedere. Ma di solitudine, di egoistica libertà, ora come ora ne ho bisogno assoluto. No, non come il caffè la mattina, ma piuttosto come l’aria. Magari non converrete con me, ma quando si vuole costruire qualcosa bisogna che da ambo le parti si sia disposti a rinunciare, almeno in parte, alle proprie passioni: e io mi sono stufato di vivere di rinunce non ricambiate e prendere come ricompensa pali in culo uniti a scuse e lacrime. E così ora, adesso, non voglio impedimenti: mi sono trovato iscritto ad un’altra gara di corsa in montagna e dopo 6 ore eccomi quassù, in un pessimo B&B sconosciuto in Valtellina, pronto a passare un week-end inaspettato. Trasportato come un chicco di sabbia dal vento ai piedi del Cevedale. Come quella che ogni tanto dal Sahara va a finire chissà come sulle Alpi. Osservo piccole situazioni, me le gusto, mentre aspetto la mia pizza. Decido su due piedi cosa fare, poi cambio idea, poi ritorno nuovamente sui miei passi ed infine cambio binario: il cellulare è lì, solo per casi di necessità, spento. Morto. Mi sento libero, aperto a tutto; mi ritrovo a fare serata con sconosciuti e poi boh, chissà: una trave traballante che poggia su una sfera in movimento. Esaltante e viva incertezza.
Non mi voglio certo spacciare per cosa non sono. Ovvero un loro fan. Dei Lynyrd Skynyrd so solo che sono una band famosissima, dedita ad un puro Southern Rock, decimata dagli anni '70 fino ad oggi da incidenti e malattie. Fino a tre dì or sono, conoscevo solo “Sweet Home Alabama”, il che equivale un po' ad affermare di adorare i Queen perché si sa riconoscere la melodia di “Bohemian Rhaspsody” e “We Are The Champions“. Per le ore di macchina che mi attendevano sabato avevo voglia di un cd nuovo, diverso dal solito metal. Un disco più tranquillo, spensierato, sognante e libertino. E così tra un tornante, un passo alpino, una discesa ed una fila per lavori mi sono ritrovato a battere la mano sul volante. Credo di averla sentita, “Simple Man” intendo, per cinque volte di fila. Quell’arpeggio iniziale, la voce penetrante in simbiosi con il ritmo cadenzato, mi ha accompagnato negli stretti tornanti del Gavia pieni di ciclisti e macchine. Un crescendo lento, fino al coro fiume che dispensa serenità e benessere continuo. E poi l’assolo in cui la chitarra solista si esalta tenendo in sospeso le note nell’atmosfera. Live di gran classe, ben suonato e cantato da una band che trasuda esperienza, mestiere e professionalità, nelle quali spiccano “That Smell” e “The Ballad Of Curtis Loew“. Le lore atmosfere western, puro Southern rock, fatte di polvere, calma, sole, sporcizia e lavori nei campi è davvero impareggiabile. Patriottismo a stelle e strisce nella melensa, pomposa e altisonante “Red White And Blue“. Ubriacante e spaccona la marcia “Give Me Back My Bullets” con una prova vocale sopra le righe: sembra che Van Zant abbia in bocca un pugno di ferraglia arrugginita. E poi si accendono gli accendini per la dolce, cullante e nostalgica “Tuesday’s Gone” capace di evocare uno sguardo al passato. Piano in fiamme per la veloce e trascinante “Call Me The Breeze“ che ravviva la platea in visibilio sulle scale d‘avorio.
E alla fin fine “Sweet Home Alabama” è quasi la peggio riuscita del lotto. Troppe aspettative, troppa pressione e foga. Il pubblico si perde, canta palesemente fuori tempo e si fa fatica ad arrivare alla conclusione tra gli applausi. Perché spesso accade proprio questo: che nelle situazioni in cui si puntano tutte le fiches/aspettative, è più probabile incappare in una delusione che in un bel ricordo. E le cose migliori invece nascono al contrario dall’improvvisazione, da un errore, dalla spontaneità perché è l’ignoto che ci attrae e fa sentire vivi. Un cd lontano dai nostri gusti musicali, un week end imprevedibile, un ritorno a casa la domenica con un sorriso a 32 denti. Perché chi cazzo lo avrebbe mai detto, solo sabato mattina?
ilfreddo
Carico i commenti... con calma