Una recensione piccola piccola per un disco che non è indispensabile, non è una pietra miliare, non è neppure rappresentativo del periodo migliore della band che lo incide. Questo disco nasce da un’emozione ed è registrato su decine di palchi in mezzo ad un’emozione grandissima, e questa emozione testimonia ancora oggi a chi lo ascolta.

Siamo nel 1987 ed i superstiti dei Lynyrd Skynyrd sentono il bisogno e il dovere di offrire un tour celebrativo del decennale dallo scioglimento. Gran brutto colpo, cantante e chitarrista solista: pensate se Page & Plant, o Blackmore & Gillan avessero lasciato le rispettive bands; colpo mortale per i Lynyrd e brutto colpo per tutto il southern rock, che già viveva nel mito di Duane Allman. In occasione dell’anniversario, Johnny Van Zant prende il microfono del fratello e vengono reclutati amici e vecchi comprimari per riformare il famoso fuoco di fila delle tre chitarre, visto che anche il povero Allen Collins è definitivamente fuori gioco per un incidente d’auto dell’anno prima. L’idea è di fare un breve tour celebrativo con la bandiera sudista sugli scudi, lo Stetson orgogliosamente sulla testa, una manciata di classici e tanto sudore e commozione sul palco e tra il pubblico. I primi concerti avranno in realtà un tale successo da spingere la band ad allungare il giro, e l’anno successivo ad organizzare una reunion definitiva, che si dimostrerà ben più che dignitosa tra ottimi ed onesti album di studio e concerti sempre molto infuocati.

L’anno successivo gli acquirenti di dischi trovano tra gli scaffali questo doppio live, pieno di classici della band (e quindi di classici del southern) e di ospiti riverenti, Charlie Daniels, Steve Morse, Toy Caldwell. Un set notevolissimo, muscolare, commosso e ruggente (incredibile “Call Me The Breeze”), che trova la logica ed attesa conclusione in una orgogliosissima versione dell’immortale ‘Sweet Home Alabama’ (introdotta dall’inno sudista ‘Dixie’) per poi offrire la catarsi finale di una ‘Free Bird’ da non potersi dimenticare. Non dovrebbe essere necessario spiegare cosa sia ‘Free Bird’ per la musica americana e per il rock in genere. La più memorabile cavalcata chitarristica di ogni tempo, introdotta da una ballad meravigliosa per pianoforte, organo e slide guitar, si consuma in questo 1987 in un rito commosso e commovente che sfiora i quindici minuti. Il brano inizia e la gente si esalta di brutto, e Johnny Van Zant innalza ancora una volta la bandiera sudista e rivolge tutti i microfoni verso la platea, perché Ronnie è morto dieci anni prima nell’incidente aereo e ora “quella” canzone la deve cantare il pubblico. Come testimonia l’album dal vivo, per tutto il tour saranno i fans a cantare in un coro fierissimo e stentoreo tutto il famoso testo, prima che le tre chitarre si lancino come dieci anni prima in una tremendissima jam su tre accordi altrettanto famosi, le chitarre sfoderino tutto il virtuosismo ed il dolore delle dita che fumano e del tempo implacabile che si è portato via tanti amici, e tutto esploda in un finale grandioso e trionfale.

Come ho ammesso, non è “il” disco da avere dei Lynyrd Skynyrd – comprate prima ‘One More From The Road’ – ma l’emozione dell’ascolto è grande ed ogni fan che si rispetti ha certamente dedicato una posto particolare a “Southern By The Grace Of God”.

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