È il 1977 quando il Texas piange sulle note di That Smell, con in una mano la copertina di Street Survivors, nell'altra un bicchiere di Jack Daniel's per brindare a Ronnie Van Zant e Steve Gaines, morti in un incidente aereo pochi giorni dopo l'uscita di Street Survivors.
I Lynyrd Skynyrd che furono non esisteranno mai più.
Anche se è triste da dire, come eredità la band non poteva lasciare di meglio. Sin da un primo ascolto si nota la qualità superiore di composizione e produzione che Street Survivors presenta rispetto ai precedenti lavori della band. Il loro potente rock blues striato di country si arricchisce di fiati in What's your Name, canzone che apre il disco con un ritornello davvero carino e un riff potente, ma lascia anche spazio alla malinconia, a divertenti fughe nel country, massicci picchi blues, intermezzi di puro rock n'roll di matrice britannica e ballad struggenti.
Ma soprattutto: la triade chitarristica Rossington-Collins-Gaines, mai troppo lodata, raggiunge picchi altissimi, i tre volano sempre alto con assolo dalla bellezza incredibile, privi di tecnicismi esagerati ma colmi di sentimento, riff rockeggianti che devono a Keith Richards ma anche al buon Texas, arpeggi e fraseggi memorabili; la voce di Van Zant che lascia un segno su ogni canzoni con un'interpretazione tanto personale quanto grandiosa.
La canzone portante dell'album è That Smell, malinconica e resa sensazionale da voce e cori femminili, e soprattutto dal riff centrale che parte subito dopo il primo assolo, a cui segue l'assolo finale, ciliegina sulla torta, splendido, memorabile, riassume in trenta secondi la malinconia della canzone: la chitarra urla e piange, poi vola libera nella parte finale.
Indimenticabile I Know a Little, dove, oltre a l'ennesima prova sensazionale dei chitarristi abbiamo un Van Zant che tira fuori una carica pazzesca e un assolo di piano che è forse il momento più alto dell'intero album, assieme al meraviglioso assolo di chitarra di I Never Dreamed, che chiude la canzone lasciando spazio al duo conclusivo dell'album, le ottime Honky Tonk Night Man, pezzo country sul livello di I Know A little, ma meno veloce e il finale Ain't no Good Life, ruvido blues sudista.
Tanto di cappello anche alla sezione ritmica, forse messa in ombra dall'eccezionale qualità di chitarre, voce e tastiere, ma con l'attenzione giusta nell'ascolto si possono capire meglio i tempi complessi e gli stacchi decisivi del solido Artimus Pyle, e i giri di basso del barbuto Leon Wilkeson, che pur senza fare mai assolo fa il suo ottimo lavoro non seguendo pedissequamente la linea chitarristica e fondendosi con la ritmica di Pyle, regalando a volte dei passaggi emozionanti come in One More Time e nel grandioso giro di I Know A Little.
Concludendo: il disco è imprescindibile, consigliato a chiunque ami la musica rock, a chi ama quei "maledetti" anni '70 e cerca ogni tassello che ne costruiscono il quadro completo, ma soprattutto è da ascoltare affinchè la musica dei Lynyrd Skynyrd resti eterna e pura nel cielo dei grandi del rock.
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