Che la storia dei Lynyrd Skynyrd si sia conclusa un tragico giorno del 1977 lo sanno tutti, inutile girarci intorno. Quello che fu non torna indietro e una figura carismatica come quella di Ronnie Van Zant non si sostituisce certo con qualche provino. Dall'altra parte fu però comprensibile la voglia, a distanza di anni dalla tragedia, dei restanti membri di riprendere le fila del discorso e dare un'eredità ad una delle vicende artistiche più interessanti del panorama musicale degli anni Settanta.

Se la primissima formazione post-reunion aveva la sua ragion d'essere perché vedeva tra le proprie fila praticamente tutti i membri storici ancora in vita, dall'altra la solita incapacità degli Skynyrd di tenere insieme i propri musicisti per più di due album di seguito è col tempo scaduta quasi nel ridicolo, con cambi di formazione continui, alcuni, purtroppo, dettata dalla scomparsa dei musicisti stessi.

E la questione sta proprio qui. Al giorno d'oggi il buon Gary Rossington è di fatto la memoria storica del gruppo, l'unico ad aver vissuto la vicenda degli Skynyrd nella sua interezza, un testimone di un'epoca che, ormai, non esiste più. Se i vari cambi di organico sono sempre stati gestiti con maestria, così come del resto Johnny Van Zant ha dimostrato di essere l'unico capace di poter anche solo aspirare a portare avanti il discorso iniziato anni prima dal fratello, c'è però da chiedersi cosa al giorno d'oggi sia rimasto di quel gruppo che tanti entusiasmi riscosse ai tempi d'oro. Oltre che dalla figura di Van Zant, il successo degli americani passava dal famigerato triplo attacco di chitarre del trio Rossington-King-Collins, oltre che dal particolare stile tastieristico di Billy Powell, altro talento che ci ha lasciati troppo presto. Album come "Second Helping" erano il risultato di un'alchimia ben particolare che si era venuta a creare, ancora prima che tra musicisti, tra esseri umani. Per forza di cose, quindi, se queste persone, per un motivo o per un altro, vengono a mancare, i loro sostituti potranno anche essere talentuosi quanto si vuole ma di certo non sarà la stessa cosa. Non si parla di qualità del risultato finale, si tratta proprio di ciò che viene proposto, spingendo l'ascoltatore più scafato a chiedersi, alle volte, quanto ci sia di sincero nella proposta musicale del gruppo che attualmente va in giro a nome Lynyrd Skynyrd.

Presentarsi con un nome di tale peso vuol dire per prima cosa dovere andare incontro alle aspettative di milioni di persone che, seguendo quella vicenda artistica in alcuni casi da decenni, si aspettano qualcosa di ben preciso. Se però quei musicisti che avevano contribuito a rendere grande quel gruppo sono fuori dai giochi da tempo, c'è da chiedersi se i loro illustri sostituti si sentano realmente liberi di esprimersi quando sono davanti ad uno spartito o se si debbano obbligare a seguire delle direttive ben precise, costantemente stretti tra la necessità di proporre qualcosa di nuovo e quella di dover andare incontro ad un pubblico che, affezionato a ciò che venne fatto ai tempi d'oro, ha delle richieste ben precise e non ama troppo le novità.

Cambiare nome? Una follia. Quando si ha la fortuna di lavorare in un'azienda come questa, perché, con buona pace della poesia, suonare in gruppi del genere vuol dire essere dipendenti di rodate e richieste aziende del mondo dello spettacolo, l'ultima cosa da fare è quella di sbarazzarsi di una sigla nota che che da sola assicura tour e contratti.

Che fare allora? Ciò che, in maniera dignitosa, stanno facendo i Lynyrd Skynyrd da una trentina d'anni a questa parte, ovvero rendersi autori, indipendentemente dalla formazione del momento, di un southern rock ben suonato, coinvolgente e, soprattutto, in linea con la tradizione, ovvero con quanto fatto dai veri Skynyrd ai tempi d'oro. Operazione partita inizialmente come un puro tributo al gruppo storico, gli attuali Lynyrd vanno a tutti gli effetti considerati come un omaggio alla formazione dei tempi migliori il quale, saltuariamente, pubblica anche del materiale nuovo. Si tratta quindi di dare al proprio pubblico ciò che si aspetta, né più né meno, con lo storico nome sempre in bella vista su copertine e locandine, come accadrebbe con un qualsiasi altro marchio commerciale.

Del nuovo corso del gruppo di Jacksonville, questo "Vicious Cycle" è solitamente considerato uno dei lavori migliori. Pubblicato nel 2003, il gruppo ai tempi veniva dall'ennesima perdita, con lo storico bassista Leon Wilkeson scomparso un paio di anni prima, giusto in tempo per registrare una manciata di brani da utilizzare per un album del quale non avrebbe mai visto la pubblicazione. Al suo posto per l'occasione era da poco arrivato Ean Evans, vecchia conoscenza di Hughie Thomasson, avendo prestato le corde del suo basso alla causa degli Outlaws una decina di anni prima.

Musicalmente le coordinate su cui si muovono gli attuali Skynyrd sono praticamente le stesse che fecero la fortuna dei sette americani negli anni Settanta, quindi un southern caldo e sentito in cui le chitarre e le tastiere si dividono di volta di volta il ruolo di protagonisti. Nella sua attuale incarnazione il gruppo di Jacksonville sembra spingere maggiormente l'acceleratore su un corposo hard rock, scelta evidentemente anche figlia delle esperienze musicali dei vari Hughie Thomasson e Rickey Medlocke, lasciando però spazio anche a brani di stampo maggiormente radiofonico.

"That's How I Like It" apre le danze, brano roccioso e tirato, lasciando poi spazio a "Pick'em Up", impreziosito da una bella sezione di fiati. "Dead Man Walkin'" e "Red, White & Blue" sono un po' la croce e delizia del disco, nonché espressione di quello che è l'attuale corso del gruppo americano. Che dalle parti di Jacksonville idee di stampo progressista non siano mai andate troppo di moda lo sanno anche i sassi, ma in pieni anni Duemila ci vuole davvero del fegato a scrivere testi così beceramente reazionari che, da un punto di vista puramente lirico, non possono che essere apprezzati che da qualche redneck appena uscito da un ranch in Arizona. Questo pigiare continuamente sul tasto del patriottismo più spinto è un'altra delle differenze sostanziali che contraddistinguono questi Skynyrd da quelli che furono, che affrontavano sì anche tematiche sociali ma con ben altra eleganza. Ed è un peccato perché, musicalmente, "Red, White & Blue" è uno dei pezzi più validi dell'album.

"Sweet Mama" e "Rockin' Little Town" riportano alla memoria certe atmosfere che avevano fatto grande un pezzo come "Honky Tonk Night Time Man", mentre brani come "All Funked Up", "Crawl" e "Jake" scadono nell'anonimato più totale e francamente non si capisce perché un gruppo come gli Skynyrd, o che almeno vorrebbe essere gli Skynyrd, debba mettersi ad imitare i Nickelback. Discorso diverso, per fortuna, per "Hell Or Heaven" e "Life's Lesson", pezzi sentiti e di spessore, che sottolineano ancora una volta che talento fosse Billy Powell. Chiude l'album un rifacimento di "Gimme Back My Bullets", saggiamente posto come bonus a fine disco: se da una parte, infatti, fa piacere vedere come Rossington e soci rileggano il proprio repertorio senza troppi paraocchi, dall'altra c'è da chiedersi in quanti possano realmente apprezzare l'arrangiamento pseudo nu-metal con tanto di inserto rappato di Kid Rock.

Il problema degli attuali Lynyrd Skynrd, in fin dei conti, è semplice: la qualità c'è, raramente i dischi degli ultimi anni hanno subito stroncature, anche perché le personalità di volta in volta coinvolte sono sempre state di assoluto spessore, ma ciò che stride è proprio quel nome in copertina. Non basta chiamarsi Lynyrd Skynyrd per essere i Lynyrd Skynyrd. Qualsiasi cosa proporranno dovranno sempre fare i conti col proprio passato, anzi con quello di Gary Rossington, essendo ormai l'unico rimasto del gruppo storico, e loro stessi se ne rendono conto, visto che in concerto portano quasi solo brani dei tempi d'oro, un po' come se i nuovi album in studio fossero solo una scusa per riandare in tour e suonare per l'ennesima volta "Free Bird".

Gli attuali Skynyrd sono questi, ottimi musicisti che però danno in troppe occasioni l'impressione di essere ormai schiavi del nome al quale hanno deciso di legarsi, un'eredità ben pesante da portare. Come si evince dall'ascolto di "Vicious Cycle" non sempre la cosa riesce nel migliore dei modi ed è un peccato perché, a parte qualche brano fuori fuoco, si tratta in un valido disco rock. Il buon senso vorrebbe che, visti i nomi coinvolti e la bravura dei musicisti, sarebbe forse il caso di mandare, dopo più di quarant'anni, finalmente in pensione la storica sigla e presentarsi con una completamente nuova, tagliando i ponti con un passato glorioso, e forse troppo pesante, ma allo stesso tempo raccogliendo il meglio di quell'esperienza. Peccato che dalle parti di Jacksonville sembrino essere di tutt'altro avviso.


"Vicious Cycle":

  1. That's How I Like It
  2. Pick'em Up"
  3. Dead Man Walkin'
  4. The Way
  5. Red, White & Blue
  6. Sweet Mama
  7. All Funked Up
  8. Hell Or Heaven
  9. Mad Hatter
  10. Rockin' Little Town
  11. Crawl
  12. Jake
  13. Life's Lessons
  14. Lucky Man


Bonus:

  • Gimme Back My Bullets (con Kid Rock)


Lynyrd Skynyrd:

  • Johnny Van Zant, voce
  • Gary Rossington, chitarre
  • Rickey Medlocke, chitarre e voce
  • Hughie Thomasson, chitarre
  • Ean Evans, basso
  • Leon Wilkeson, basso su "The Way" e "Lucky Man"
  • Billy Powell, tastiere
  • Michael Cartellone, batteria
  • Carol Chase, cori
  • Dale Krantz Rossington, cori

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