Praticamente “Split” (2016) è il seguito di “Unbreakable” (2000) che ad oggi costituisce sicuramente uno dei film più popolari del regista M. Night Shyamalan e il secondo capitolo di una trilogia che si concluderà con un film pare in uscita nel 2019 e che dovrebbe prevedere un incontro (più verosimilmente uno scontro) tra i principali personaggi dei primi due film. Come il suo predecessore (ma in maniera meno avvincente e più carica di tensione psicologica) “Split” parte da premesse che sono interessanti e che basate su presupposti scientifici (chiaramente estremizzati) si sviluppano nel delineare il quadro psicologico e comportamentale dei personaggi per sfociare poi in una combinazione tra thriller ad alta tensione tipo “Se7en” oppure più banalmente “Saw” e roba tipo supereroi della Marvel oppure DC Comics.

Il protagonista del film è Kevin Wendell Crumb. Ispirato alla figura di Billy Mulligan (1955-2014), praticamente il primo criminale nella storia degli USA assolto per disturbo dissociativo dell'identità, Kevin ha ventitré identità diverse (ciascuna consapevole delle altre) tra cui ve ne sono alcune dominanti come altre in contrasto e disaccordo tra di loro e altre ancora che per ragioni di opportunità sono represse da tutte le altre. Il film è tutto incentrato nella analisi e rappresentazione dei comportamenti del protagonista, che possono apparire estremi e persino inverosimili, ma che invece costituiscono realtà scientificamente comprovate. Certo la mutazione finale nella “bestia” (una specie di sublimazione delle 23 identità), un assassino assetato di sangue e praticamente in possesso di poteri sovrumani tra cui arrampicarsi sulle pareti, è sicuramente eccessiva, ma trattandosi di un thriller dai contenuti fantastici, non starei a sottilizzare. Per il resto se la domanda è se un uomo possa avere più identità differenti tra di loro nel comportamento, che di volta in volta assumano una fisionomia diversa, che abbiano conoscenze e qualità anche strutturali differenti e uniche rispetto a tutti gli altri e che in alcuni casi siano così “condizionate” da assumere quelli che Stan Lee e il regista considererebbero alla stregua di superpoteri - come una particolare resistenza al dolore ad esempio - be’ tutto questo può corrispondere al vero: una vicenda irrisolta e giustamente oggetto di studi e attenzioni dalla comunità scientifica per ragioni che vanno al di là della cura della patologia.

L’attore protagonista, James McAvoy, è sicuramente bravo nel rappresentare le diverse personalità di Kevin, ma nel complesso - devo dire - non straordinario come lo ho considerato in altre occasioni. Forse non è bravo quanto Samuel Lee Jackson (non è facile, va detto), ma il limite, al di là del mio atavico disinteresse nei confronti dei film sui supereroi, sta nel film nel suo complesso: avrei affrontato un tema così interessante da una prospettiva completamente differente (che io sappia ci starebbero lavorando Joel Schumacher e DiCaprio). Invece qui tutto è costretto nello sviluppare una storia simile a "Unbreakable" ma che funziona meno bene. Il sistema dei flash back tipici del genere è qui tedioso e spiega ma senza dare nessuna impressione particolare. Quello che si salva alla fine è solo la paura per le tre ragazze imprigionate. Ma mi pare veramente troppo poco.

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