Come presentare il quinto lavoro di M. Ward? Come trasmettere la sconsolata presenza di un songwriter commovente ed incomprensibilmente non considerato? Come parlare di questo ragazzo che ormai da più di cinque anni tesse melodie folk con la maestria di un veterano?
"Post War" è , come detto, il quinto luminescente lavoro di questo ragazzo di Portland, che mentre il mondo va avanti seguendo fuochi di paglia e costruzioni a tavolino, mette insieme canzoni dalla sensibile profondità emotiva che si sta sempre più perdendo di vista. Una fragile e paradossale bellezza che avere la possibilità di ascoltarla è un pregio indiscusso, un' oasi nel deserto.
Suoni quasi blues si trasformano attraverso maturazioni scarne ed essenziali in forme folk-rock che ci scaldano il cuore. Arrangiamenti puliti e minuziosi, cura del particolare ammirevole ed esemplare. La sua voce profonda e sincera si fonda con leggere percussioni, chitarra e piano per canzoni prive di difetti e sbavature. Il disco si apre intimo e disincantato, coinvolgente e disteso con Poison Cup, due minuti e mezzo di meraviglia cucita su tela consumata. Guizzi blues, folk, rock e ricordi pop in questo album di Matt. Una voce rurale e sensuale al tempo stesso sa stregare e comporre dolci canzoni fuori dal tempo e dallo spazio per completare un opera impressionista e già trascorsa. Richiami a Bob Dylan nella sporca maglia gospel di Rollercoster, spruzzi da Beach Boys in Magic Trick e un po' di Tom Waits e Neil Young tra Requiem e la title track. Chinese Translation è quasi perfetta e pare una giostra che spenta da anni riprende a girare e a riportare sorrisi e ricordi.
Pochi difetti e tanti pregi. Una collana di dodici tracce che in un mare di cotanta banalità e falsità artistica ed espressiva saprà catturarvi e convincervi.
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