Riecco i Macchina Pneumatica che pubblicano, dopo il precedente e ben accolto Riflessi e Maschere, il loro nuovo album intitolato Appartenenza. Si tratta di una band dal suono tipicamente ‘70 che può ricordare in alcuni momenti i Goblin. Tutto suona piuttosto datato ma questo non lo intendo in senso negativo. Alla fine stiamo parlando di un suono glorioso in cui i gruppi musicali italiani hanno dato il meglio di della propria creatività. Lo schema ricalca in parte quello del disco precedente con una sezione ritmica rocciosa (Carlo Giustiniani al basso ed Enzo Vitagliano alla batteria) e le tastiere vintage (suonate da Carlo Fiore) in primo piano. Le atmosfere sono ora più pacate ora più concitate. Il suono è compatto e senza fronzoli: la voce di Raffaele Gigliotti (che suona anche la chitarra) è calda e potente al punto giusto e non costituisce (come in gran parte dei gruppi italiani prog) un punto debole. E, come nella miglior tradizione del prog italico, ecco che troviamo anche una sorta di concept che ci parla del dramma dell’omologazione (come si può notare dalla visionaria copertina) che viviamo tutti i giorni nella nostra quotidianità. La risposta a questa situazione viene trovata nella follia, vista nella duplice possibilità di dramma e fuga salvifica. Probabilmente non cè molta originalità in una proposta di questo tipo ma anche questo non lo trovo un aspetto negativo. In un panorama musicale italiano pieno di musica spesso anonima e senza senso ascoltare un gruppo caldo come i Macchina Pneumatica costituisce una botta di vita. Per seguaci del prog e del jazz-rock.
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