Siamo nel 2005 e il pluripremiato cineasta Maccio Capatonda è reduce dal sequel della "Febbra", la "Febbra 2 ", che nonostante le lodi della critiche si è dimostrato un flop al botteghino.

A Ottobre, Maccio, ormai in crisi artistica e dopo una temporanea controversia con Herbert Ballerina per i diritti di distribuzione de "L'uomo che usciva la gente", inizia la collaborazione con lo sconosciuto Alejandro Jodorow..ehm, volevo dire Ramirez Inariditu, accoppiata che si dimostrerà miracolosa. Infatti, "Ahia, ma sei scemo?" diventa il film più visto dell'anno fin dalla prima settimana di proiezione e non tardano ad arrivare il Golden Gol a Maccio per la miglior sceneggiatura e a Geeno (al secolo Lueegi Del Pugno) come miglior attore esordiente. In breve il film acquista lo status di cult, rafforzato dalle copiose vendite dell'edizione in dvd.

Un colpaccio dunque, ma sarebbe errato pensare ad "Ahia, ma sei scemo?" come un semplice blockbuster. In una decade dove il genere sportivo sembrava in una crisi profonda (il fiasco di "Rocky e i Doni e i Doni della Morte" in questo senso è l'esempio più calzante) la coppia Capatonda - Inariditu ci regala un capolavoro sincretista in cui si coniugano gli stili di Fellini, Monicelli, Elio Petri e perfino Wenders, accompagnato dalle musiche intimiste e riflessive di Mariottide e inscenato da attori d'eccezione come l'inossidabile Rupert Sciamenna e Katherine J. Junior.

Il film racconta la storia di Pappo, giovane sbandato di periferia che "c'ha rabbia", aiutato da un allenatore di pugilismo ormai al vertice e annoiato dallo sport (profonda metafora della situazione in cui Capatonda stesso si trovava al suo incontro con Inariditu, all'epoca un talentuoso esordiente) a uscire dalla strada e a tirare fuori le abilità nascoste, ma nascoste bene. L'acquisizione di una tecnica pugilistica sempre più raffinata sarà inevitabilmente congiunta con la crescita spirituale di Pappo stesso, fino all'apprendimento dell'invincibile Pugno di Lato, mossa inventata dai monaci zen e basata sul cambio di prospettiva (concetto immanente e trascendente allo stesso tempo, che verrà ripreso da Capatonda in "L'Ispettore Catiponda") nello sferrare il colpo mortale.

Ma il cammino di Pappo non è facile: egli dovrà confrontarsi con l'ostilità dei gestori degli incontri, della madre e anche della gente che incontra per strada. Ma soprattutto dovrà confrontarsi con sè stesso. E' questa la chiave di volta dell'intero film, il messaggio profondo che Maccio, arguto osservatore dell'animo umano, vuole far trasparire. Il finale, intriso di rara poesia, vede il protagonista schiacciato dalla macchina dell'inganno e dell'illusione, ma comunque vincitore morale nei confronti della vita.

Quante scene meravigliose si potrebbero citare: Pappo che urla "Io sono puggile" per strada, il ring trasformato in baretto durante una sequenza onirica (mi preme di sottolineare la regia dadaista, mai come in questo caso perfettamente abbinata alla sceneggiatura) e tante altre. Tuttavia è meglio lasciare alla curiosità dello spettatore un tale capolavoro del cinema mondiale. Buona visione a tutti. 

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