A morte?
A morte solo due cose: il falso metal e le ridondanze.
Leggevo sull'inserto Il Venerdì di Repubblica un'intervista a Raffaele Alberto Ventura, filosofo, autore di uno dei saggi di sociologia più grossolani che mi sia capitato di leggere (Teoria della classe disagiata, Minimum Fax, 7.99£). Intervista tutto bene, liscia, senonché il Ventura a un certo punto decide di uscirsene con una sparata sensazionale, di quelle a effetto. Dichiara, en passant: «Internet ci dà accesso a una mole enorme di informazioni».
«Accidenti!» penso, in sala d'attesa per il tampone uretrale, mentre per qualche ragione tutti intorno a me parlano di fiori. Sbrigata la commissione, mi affretto verso casa. Apro il pc, mi connetto. «Ora voglio proprio vedere».
Insomma mi rimetto a fare digging, provo ancora un po' il mezzo, perché l'uscita di Ventura non mi convince.
E tanto ne ho fatto di digging per tutti questi anni, forse decenni, lontano da Debaser. Ho scavato. Libri, film, musiche, tutto. Coltivato interessi vari.
«Una mole enorme di informazioni»: balle. Su internet non c'è poi tanto. Spiace per i tantissimi che usano questa ridondanza per mostrarsi accondiscendenti con l'interlocutore, che evidentemente pensano sia stato criogenizzato nel '95 in un bunker sotto un nuraghe.
Di cose ce ne sono, per carità. Solo Debaser conta ormai decine e decine di recensioni. Eppure mancano le immagini di quelle bestie antropomorfe che nelle pubblicità sui Topolino fine anni '80 mangiavano barrette di carne. Manca il disco di Chuck Treece con Feel. Una versione scaricabile della graphic novel di Serengeti, Kenny vs. The Dark Web. Il loop del finale di Cinnamon Girl (ma c'è una bella cover dei Loop). Sono le prime cose mancanti che mi vengono in mente.
Neanche la versione digitale della biblioteca di Babele è completa, altrimenti sarei sicuro di trovarci queste parole nel giusto ordine.
A nessuno è venuto in mente di scrivere due righe in italiano sui Machine Girl, che dal 2015 esistono.
Una cosa più interessante su internet, per chi non intuisse, è il suo potenziale sonoro. È un dato strutturale: la quantità di bumper, suoni di notifica; la possibilità di riprodurre tracce in contemporanea sul browser e sui software di riproduzione dei media, elaborarle in tempo reale, accelerarle, rallentarle; registrare tutto mentre accade.
Episodi vedono i musicisti riconoscere in queste potenzialità un fatto culturale; sfruttarle (i modi sono svariati) e descriverle al contempo.
È il suono del meta-internet, la fortuna dei più noti del filone di ricerca, i Death Grips di (fondamentalmente) Zach Hill degli Hella.
Dal lavoro dei Death Grips di Money Store prendono certamente abbrivio i Machine Girl da NYC, in sodalizio con i concittadini Show Me The Body.
Dopo alcune prove ancora fin troppo debitrici dei numi tutelari, li sentiamo qui a piena maturazione, con un suono che finalmente ne ricalchi le gesta anche fisiche dei live.
La configurazione è quella ormai riconosciuta come più adatta al fine: batteria acustica con pad, macchine e urla.
L'esito è di una ferocia e un'eterogeneità fuori dal comune, e proprio nell'ardimento delle mescolanze ritmiche trovo i motivi di maggiore interesse. Si prenda This Is Your Face On Dogs, che lancia un d-beat a bpm da techno hardcore enfatizzando sullo snare, per virarlo poi in un big beat già ibridato al dub, su urla riverberate, synth ora da eurodance, ora sample di notifica, ora sibili e affastellamenti laser, che su Kill Screen - una mistura imballabile tra Underworld e Chemical Brothers - diventa arpeggi di piano, forme d'onda tangibili e plunderphonics.
La semplificazione fa dire math, la metrica è MC Ride sfacciata.
Necro Culture Vulture lancia ancora d-beat all'arma bianca, ma il basso è drum & bass alla vecchia e il riff ha uno strano pitch o tremolo che lo fa dissonare (è un motivo ricorrente).
In Psycho Signal Jammer raggiungono il culmine del garbuglio tra blast beat in stop and go che stop non sono poi mai, nell'infuriare costante di voci e suggestioni telematiche, portandosi attraverso l'eurodance da pubblicità di yacht di Loop Version e lo pseudoambient di Where Were You alla sudata dei dieci minuti finali di A Decent Man, ammirevole perché saggio completo delle possibilità e per la resistenza delle braccia.
È curioso, e non mi spiego, che tutto questo suoni già vecchio.
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