L'ultimo lavoro del Machine Head intitolato "The Blackening" è una gradita sorpresa per tutti le persone che considerano la band una delle tante ramificazioni di quel nu-metal così popolare tra la fine degli anni '90 e l'inizio dei '00, e così disprezzato dai metallari legati a sonorità old school. La gradita sorpresa nasce dai meriti di una band che ha messo in questo ultimo prodotto tutta la sua esperienza per la creazione di uno dei migliori album del 2007.
"The Blackening" è strutturato in otto tracce racchiuse in poco più di un'ora di sfolgorante velocità, riff rocciosi e violenza sonora: l'accattivante e aggressiva voce del frontman Rob Flynn si fonde nel modo più completo con le "note" prodotte dagli strumenti elettrici, in una armonica continuità "veloce-lento". La cosa più sorprendente per chi, come me, è legato alle sonorità tipicamente ottantiane del Thrash statunitense e in generale a tutti i padri fondatori del Heavy Metal, è l'esplicito richiamo a mostri sacri come Slayer e Testament; ed è proprio questa lotta latente tra "vecchio" e "nuovo" che caratterizza tutto l'album, all'interno del quale Flynn e soci cercano con cura di unire queste due correnti, spesso con risultati soddisfacenti ed entusiasmanti, ma in alcune occasioni in maniera disarticolata e poco efficace.
Il full-leight si apre con la traccia che si intitola "Clenching The Fists Of Dissent", gloriosa cavalcata Metal di circa 10 minuti che rappresenta degnamente la fiolosofia dell'intera opera con il sound roccioso e l'abbondanza di assoli "testamentiani" che si uniscono ud una insolita lunghezza che però non risulta mai scontata: infatti i cambi di tempo non sono mai improvvisati e il passaggi ben studiati. La seconda e la terza traccia, rispettivamente "Beautiful Morning" e "Aesthetics of Hate", rimarcano quanto sopra detto rendendo ancora più accattivante l'ascolto, trasferendo all'ascoltatore un senso di naturale violenza. La traccia numero 4 ("I Lay The Down"), a mio parere, rappresenta il punto più basso di tutto l'album, legata troppo agli sterotipi del nu-metal ormai caduti (fortunatamente) nel dimenticatoio della storia musicale. Ma i Machine Head si riprendono subito con la successiva "Slanderous" e soprattutto con la meravigliosa "Halo", le cui linee vocali ricordano in alcuni suoi punti maestri come Iron Maiden e Judas Priest, e che soprattutto fondono in un modo perssochè perfetto la suddetta commistione tra "old" e "new". La traccia numero 7 intitolata "Wolves" è quella che più a me ricorda il fastoso passato del thrash della bay area, una realtà fatta di aggressività sonora e grandi maestri del rock. "The Blackening" si conclude con un'altra traccia molto lunga ("A Farewall To Arms"), passionale ed intima che alterna momenti di pura violenza a momenti melodici e sonoricamente accattivanti.
Sostanzialmente quello che non è riuscito ai Metallica di "St. Anger" e riuscito ai Machine Head con quest'ultimo prodotto, cioè il ritorno alle origini senza uno snaturamento del percorso musicale intrapreso, cercando di accontentare i fan delle varie fasi della band, aggiungendo alla scena metal prospettive per una maturazione artisticamente soddisfacente, verso sonorità meno divorabili dall'industria discografica ma più valide dal punto di vista artistico.
Dottor Zero
Carico i commenti... con calma