"The Computer Conspiracy" (1969) di Mack Reynolds, pubblicato in Italia con il titolo "Chi vuole distruggere l'America?" non è forse un romanzo particolarmente originale. Non lo era probabilmente neppure quando è stato pubblicato. La storia è semplice: dopo la fine della guerra fredda, il mondo trova un nuovo equilibrio e una nuova pace apparente dividendosi in tre blocchi: gli Stati Uniti d'America, la vecchia Europa e la ex Unione Sovietica. Le cose per quello che riguarda qui equilibri internazionali restano comunque molto difficili, ma ci sono stati grandi cambiamenti nella società e le cose sono cambiate per lo più proprio negli Stati Uniti d'America. La diffusa archiviazione e gestione di tutti i dati in giganteschi archivi computerizzati, una rivoluzione che ha coinvolto anche gli altri due "blocchi", negli USA ha raggiunto livelli estremi, annullando le libertà individuali e modificando la vita della popolazione del paese intero, rinunciando a ogni principio libertario in cambio del "benessere". Solo i pochi che non si sono voluti adeguare a questo sistema di vita si sono tagliati fuori e ritirati a vivere tra le macerie delle vecchie grandi città, rese obsolete dopo i grandi cambiamenti che hanno praticamente sconvolto l'intera struttura del paese. Questi posti sono praticamente terra di nessuno e fuori dal controllo delle istituzioni e se tutto questo vi fa pensare a "Escape From New York" non siete fuori strada, perché in buona sostanza quegli Stati Uniti d'America e quella Manhattan sono proprio questi qui raccontati nel romanzo di Reynolds. Che però poi racconta una storia differente: quella di un professore di lingue di nome Paul Kosloff che si ritrova coinvolto suo malgrado a indagare in un caso di spionaggio internazionale che lo porterà fino al cuore della vecchia Europa per scoprire chi, infiltrandosi e manipolando i dati del computer, stia effettivamente cospirando ai danni degli Stati Uniti d'America.

Svelare il resto della trama a questo punto significherebbe sabotare il piacere del lettore, ma va detto che gli sviluppi della trama e la sua conclusione non sono imprevedibili e in maniera particolari in un'epoca come quella contemporanea in cui le "cospirazioni" sono diventate pane quotidiano e argomento di discussione al bar. Se questo quindi poteva essere forse allora un elemento di innovazione, diciamo che la cosa adesso non fa particolarmente effetto, così come (come già annunciato nella introduzione di questa breve recensione) non costituisce un tema inedito la manipolazione di un "cervellone" che contenga tutte le informazioni più riservate e strettamente confidenziali. Così forse le considerazioni più interessanti vanno invece fatte sul tema della libertà e delle libertà individuali, una questione per forza di cose cara a un autore come Reynolds, dichiaratamente socialista e critico storicamente verso gli USA, successivamente profondo analista anche dei limiti del sistema sovietico. È così che nella rappresentazione dei suoi Stati Uniti d'America dove sono negate le libertà individuali e ci si piega alla rinuncia della privacy e l'uniformità di pensiero, Reynolds non solo nega la natura libertaria e fasulla del sistema capitalistico, ma ne coglie le pieghe più autoritarie e che corrispondono poi nei temi accennati a quella visione massimalista del sacrificio in nome del grande ideale e che fu poi la principale contraddizione dove andò poi a affondare il grande sogno dell'Unione Sovietica.

La mediocrità dello stile di vita, il totale appiattimento culturale venduto come oro colato per il mantenimento dello status quo in una società invece decadente, dove gli emarginati sono relegati a vivere in dei veri e propri ghetto macroscopici senza nessun diritto, sono temi di stretta attualità e che invitano a riflessioni su quello che succede oggi negli stessi USA come in Europa. Quando il ministro svedese dichiara che la colpa della crisi non sono gli immigrati ma il mantenimento dello stato sociale per le persone anziane che è arrivato a costi insostenibili, non si nega chiaramente la priorità di questo diritto (che vivaddio in Italia in molte situazioni esiste da sempre e continua ad esistere) ma significa che pensare di dare di un paese un sistema chiuso e autosufficiente nel benessere, mentre attorno a te tutto finisce in miseria, non solo è un comportamento anti-etico e come si direbbe oggi, "sovranista", ma è anche controproducente per tutte le parti in causa oltre che per le persone che ne sono tagliate fuori. Il "gioco" funziona, ma poi tutte le contraddizioni alla fine saltano fuori. Dicono alcuni dati statistici e indicatori economici che gli USA in questo momento godano di una economia in crescita. Parlo di "alcuni" perché sappiamo bene che ogni dato vada sempre soggetto a vario tipo di interpretazioni. Fermo restando che l'aspetto economico poi non mi sembra l'unico parametro per giudicare un operato di natura politica, la storia ma la semplice ragione ci hanno sempre insegnato quanto costruire muri sia controproducente. Una volta che te ne resti barricato tra le le tue mura, arriverà il giorno in cui una virulenta epidemia (fosse pure un semplice virus informatico...) scoppierà e germoglierà senza tu possa avere nessun anticorpo per curarti e allora l'unica cosa che potrà prevalere restano odio e violenza.

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