Come si fa a non avere un disco come quello dei Mad Season? Come fanno i ragazzini di oggi a sopportare un’adolescenza senza il grunge? Senza i miti distruttivi vissuti con alcool, droghe e violenza, martiri condannati ad un’esistenza breve, destinati a non essere più dimenticati. Come si può riuscire ad ascoltare il rock di oggi, senza aver vissuto negli anni 90?
Seattle era il centro del mondo. Da lì provenivano le grida di rabbia e paura di una generazione sconvolta. E lì si costruì una nuova torre di Babele. Era l’unico modo di rimanere vivi, ed era anche l”unico modo per non essere spazzati via. Seattle era una città scura e fredda, su cui il fantasma di Hendrix ancora allungava le sue potenti dita per prelevare figli da portare con sé, in un altro mondo, in un altra dimensione, in cui il tempo non esiste, in cui i dolori non esistono. Di problemi Layne Staley, Mike Mc Cready, John Baker Saunders, e Barrett Martin ne avevano anche troppi. Suonare nelle loro band era come avere il peso del mondo sulle proprie spalle, tenere dietro ai sogni e alle illusioni di migliaia di giovani non era facile. Non lo era se tu eri il cantante degli Alice in Chains, nè tantomeno se suonavi nei Pearl Jam o negli Screaming Trees.
Povere braccia e povera pelle, torturata da aghi e liquidi sintetici, povero stomaco, prigioniero di alcol e pillole! I Mad Season nacquero un giorno nel 1994, nei pressi di un centro di riabilitazione. Layne era un maestro nell’entrare e nel riuscire dalla tossicodipendenza ed aveva una voce stupenda, così quando McCready e Saunders gli proposero di formare una band improvvisata non poté dire di no. Martin, che ha suonato praticamente con tutti in America, all’epoca era il batterista degli Screaming Trees, il suo coinvolgimento insospettì Mark Lanegan che decise pure lui di cantare qualcosa. Prima e dopo la pubblicazione di Mad Season, la band visse un buon periodo. Erano tutti compiaciuti e sorpresi dalla riuscita della loro unione. Loro erano sobri, i concerti erano bellissimi, la canzoni erano magiche, la coesione del gruppo non lasciava dubbi, erano fatti apposta l’uno per l”altro. In queste condizioni, dieci giorni per registrare il primo (e unico) disco furono sufficienti.
ia il pubblico che la stampa accolsero l’album con gran clamore. River Of Deceit, è una perla, delicata e soffusa come una canzone jazz, delizia l’ascolto di chiunque, affondando le sue radici nei testi di K.Gibran e in una raffinata melodia anni ’70. I’m Above, Artificial Red e Lifeless Dead sono invece l”altra faccia della medaglia, navigano in acque cupe, esplorano territori bui e tempestosi, con la voce di Lanegan che arriva per contrastare quella di Layne, su praterie scoscese e mari debordanti di un suono che da lontano ricorda i Pearl Jam. All Alone è una conclusione attesa e desolata del disco è il dio che distrugge Seattle, e la sua torre di Babele, disperdendo i Mad Season lontani da se stessi e dal mondo, lasciandoli soli, nella loro disperazione e nella loro infinita bellezza.
Qualche mese dopo la pubblicazione dell’album, ognuno tornò alla propria band di appartenenza: Layne Staley si riavvicinò a Jerry Cantrell e scrisse Alice In Chains, omonimo e superlativo lavoro, di cui vale la pena ascoltare ogni traccia; Mike Mc Cready tornò ad essere il chitarrista dei Pearl Jam e pubblicò assieme a Vedder e soci un album di transizione come No Code; Martin di lì a poco avrebbe creato assieme a Peter Buck dei R.E.M. un progetto musicale chiamato Tuatara (7 album finora); Baker Saunders suonò ancora il basso con gli Walkabouts fino al 1999, quando morì per un’overdose di eroina. Layne lo raggiunse tre anni dopo.
La “mad season” era finita.
«Fate allora che ciascuna stagione racchiuda tutte le altre, e il presente abbracci il passato con il ricordo ed il futuro con l’attesa».
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