Quest'album è forse il culmine artistico del grunge di Seattle, il frutto di un supergruppo comprendente il grande Layne Staley degli AIC, il chitarrista dei Pearl Jam Mike McCready, il batterista degli Screaming Trees Barrett Martin e il bassista di stampo blues John Saunders (scomparso anche lui come Staley).

Il suono di "Above" prende spunto dal grunge, ma lo rivitalizza, in un anno (il 1995) in cui il declino del genere era iniziato, ampliando il raggio delle influenze. Alcuni brani prendono chiaramente spunto dal grunge: "I don't know anything" si snoda su accordi e riff spietati e rocciosi, che i cloni simil -hanson Silverchair copieranno qualche tempo dopo. In "Wake up" e "I'm above" già si vede che la potenza grunge si sta sublimando in atmosfere più limpide e malate, grazie al cantato unico e irraggiungibile di Layne Staley, il quale in "Artificial red" regala un'altra prova straordinaria, elevandosi su un blues sensualissimo. Bellissima e struggente è "River of deceit", che si rivolge indietro verso i Led Zeppelin acustici, mentre a proposito di influenze anni 70 è certo space rock a venire omaggiato in "November hotel".
Il brano migliore è forse "Long gone day", lascivo bossanova in cui alla voce di Layne si affianca quella alcolica dell'altro fuoriclasse Mark Lanegan.

Insomma un grande album, forse il migliore per comprendere la poetica del grande Staley, il quale è stato un po' dimenticato a vantaggio di Cobain (cosa che non riesco a spiegarmi), ma che ha espresso emozioni e poesia in maniera decisamente più profonda: cosa che dimostrerà soprattutto nell'omonimo album degli Alice in chains che uscirà di lì a qualche mese, a mio avviso il capolavoro di Alice.

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