Gli anni '90 del rock sono stati caratterizzati dalla città di Seattle con le sue camicie di flanella oversize, dalla Sub Pop, dal cosiddetto "grunge". Le distorsioni chitarristiche, i potenti riffs, l'urlato malessere esistenziale di band quali Perl Jam, Alice in Chains, Soundgarden, per non dire dei popolarissimi Nirvana, qualunque sia l'opinione che si ha sul movimento in questione, impressero indubbiamente un marchio ad un'epoca musicale, mettendo in secondo piano quella che da sempre era la capitale americana della sperimentazione e dell'avanguardia: New York.
Anche in quegli anni, però, di vacche apparentemente magre la Grande Mela riuscì a far emergere dei gruppi di qualità, sicuramente molto meno famosi di quelle provenienti quasi tutte dallo Stato di Washington, ma che si ponevano come una più che valida alternativa al grunge "pigliatutto". Fra tutti questi gruppi un nome certamente non può essere taciuto: è quello dei Madder Rose. Billy Coté, chitarrista e compositore dotato ed eclettico, insieme a Mary Lorson, chitarrista e vocalist con un timbro a metà tra Susanne Vega e Nico, erano (si sono sciolti nel 2000) le punte di diamante del progetto che nell'arco di circa sei anni, da '93 al '99, diede alle stampe quattro lavori di eccellente fattura, con "Panic On", il secondo, che si colloca, a nostro modesto avviso, tra le uscite migliori pop/rock americane dell'intero decennio. L'album, pur non godendo della notorietà di altri masterpiece del periodo, è davvero un capolavoro minore, poetico e ricco d'influenze, di un sound che sa essere corposo e delicato allo stesso tempo, potente, con fiammeggianti riverberi di "gioventù sonica", ma con una delicata vena pop, neanche troppo sotterranea, che lo attraversa tutto.
Nel primo brano, con la tagliente chitarra di Coté grande protagonista, "Sleep, Forever", sono già rintracciabili molti degli elementi citati, oltre alla loro anima più briosa e rock ‘n' roll. Con "Car Song" si cambia registro e ci si chiede per quali imperscrutabili motivi, quando si cita il gotha newyorkese, ci si dimentica spesso di loro, quando sarebbe bastato, a parer mio, anche solo un brano del genere, lirico, straniante, pare di sentire le cose migliori dei Sundays ma con più nerbo e sostanza, per assicurargli un posto di rilievo accanto ai Television. La sequenza "Panic On", "What holly Sees", "Almost Lost My Mind" esplicita ulteriormente la loro attitudine "pop oriented", ma con un gusto e delle melodie che hanno pochi eguali nell'America di quel periodo, con gli assoli di chitarra del leader a dare ancora maggior lustro. Più energia, più chitarre a briglia sciolta, con rimembranze molto anni '70, sono invece chiaramente riscontrabili in brani come "Drop Bomb", "Black Eyed Town" e, soprattutto, "Ultra Ansietà (Teenage Style)" quasi hard-rock. Ma dove è il loro sound molto personale, sicuramente riconoscibile, si sintetizza meglio è in brani come "Day In, Day Aut", "Foolish Ways", "Mad Dog" dove lo spleen dei testi è accolto e attenuato dalla chiaroscurali armonie, con una capacità di saper coniugare elementi contrastanti che ricorda un po' band come The Breeders.
I Madder Rose forse non saranno mai tra i primi nomi che vengono in mente per stilare una lista degli indispensabili per comprendere l'evoluzione musicale pop/rock degli ultimi tre decenni della Big Apple; eppure sono sempre più convinto che ignorarli potrebbe significare non cogliere a pieno uno degli aspetti più vivaci e rappresentativi dell'anima della grande metropoli.
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